TELEOLOGISMO, CONSEQUENZIALISMO E PROPORZIONALISMO (1993)[1]

 

Angel Rodríguez Luño

 

Le cosiddette etiche teleologiche, sia nella versione consequenzialista che in quella proporzionalista, rientrano tra i problemi attinenti l'insegnamento della morale sui quali la enciclica Veritatis Splendor opera un accurato discernimento (cf. nn. 71 ss.), resosi ormai necessario per ragioni prettamente dottrinali. L'enciclica riconosce esplicitamente la validità di alcune delle istanze scientifiche che hanno spinto taluni teologi ad intraprendere la strada dell'etica teleologica (cf. n. 74 ult. capoverso), e incoraggia nuovamente i moralisti a ricercare modi sempre più adatti per comunicare l'insegnamento cristiano agli uomini della loro epoca (cf. n. 29). L'analisi delle opere più rappresentative di tali tendenze teologico-morali costringe tuttavia a prendere atto che esse non sono "fedeli alla dottrina della Chiesa, allorché credono di poter giustificare, come moralmente buone, scelte deliberate di comportamenti contrari ai comandamenti della legge divina e naturale" (n. 76). Come ammise anni fa un noto rappresentante dell'etica teleologica, secondo questo orientamento "nell'ambito delle virtù morali non ci può essere azione che sia sempre giusta o sempre sbagliata indipendentemente dalle sue conseguenze. In altri termini: non ci sono azioni assolutamente cattive in se stesse (malitia intrinseca absoluta); né l'uccisione di un innocente né la dichiarazione diretta del falso né una masturbazione possono essere dette cattive in ogni possibile caso e senza eccezioni".

Per capire come si arriva a tale conclusione è conveniente spiegare, da una parte, 1) il modo in cui l'etica teleologica concepisce l'intenzione (detta anche "atteggiamento")  e 2) il metodo in base al quale intende formulare il giudizio morale sulla scelta (detta anche "comportamento") e sulle norme che regolano le scelte e, d'altra parte, 3) il modo in cui viene inteso il rapporto reciproco di intenzione e scelta e di entrambe riguardo alla moralità della persona che agisce.

1) Nell'ambito dell'agire intramondano, l'intenzione o atteggiamento è buono quando è sinceramente rivolto verso il bene, la virtù e, in ultima analisi, verso la carità. Ora, la carità (e anche le altre virtù) è intesa dall'etica teleologica in modo prevalentemente formalistico, di solito come imparzialità, per cui resta del tutto aperta la questione del come queste virtù vadano concretamente attuate nel singolo caso. D'altra parte, si aggiunge, la carità verso il prossimo è benevolenza e beneficenza (voler bene/fare del bene agli altri). La benevolenza deve essere universale. La beneficenza invece è soggetta a tanti limiti: mentre aiuto Tizio non posso aiutare Caio; diverse possibilità di fare il bene entrano in concorrenza fra di loro, e perciò la carità richiede che il soggetto proceda a una ponderazione o calcolo dei beni e dei mali in gioco, per ottemperare al dovere di scegliere l'azione che "massimizza" il bene o "minimizza" il male.

2) Arriviamo così al metodo per valutare il comportamento scelto o da scegliere (o per fondare norme riguardanti i comportamenti). Il soggetto veramente caritatevole calcola i risultati o le conseguenze prevedibili delle diverse azioni che per lui sono qui e ora possibili, e sceglie quella che produrrà un maggior bene oppure un minor male (consequenzialismo), oppure quella le cui conseguenze positive siano tali da costituire una ragione sufficientemente proporzionata alla gravità dei mali intenzionalmente causati (proporzionalismo). Così, per esempio, in una situazione particolarmente difficile l'aborto diretto potrebbe essere benissimo il comportamento da scegliere. Secondo l'etica teleologica, ciò non dovrebbe essere interpretato come se il fine buono potesse giustificare un peccato di aborto, ma significa piuttosto che la causazione intenzionale di un male ontico o non-morale, come la morte del nascituro, se risponde ad un'attenta ponderazione dei beni e dei mali non-morali in gioco, è un'azione moralmente lecita o addirittura doverosa che non può essere denominata aborto.

3) E veniamo al terzo punto. Se trascorso qualche mese si arriva a capire che la decisione presa ha causato, contrariamente a quanto previsto, più mali che beni, si dovrà concludere che l'azione realizzata in quel caso è stata moralmente errata, ma si continuerà ad affermare che il soggetto è moralmente buono, perché l'intenzione era buona e, soprattutto, perché il maggior male risultante è dovuto ad un difetto di conoscenza o di previsione degli eventi, e la qualità morale della persona dipende dalla volontà, non dalla maggiore o minore intelligenza o previsione delle realtà o delle circostanze non-morali.

Dovendoci limitare ai punti essenziali, tre considerazioni sono opportune per evidenziare le ragioni della presa di posizione della recente enciclica (cf. nn. 74, 75, 76 e 79). La prima è che la carità, oltre alla benevolenza e alla beneficenza, possiede un'altra dimensione di fondamentale importanza (e lo stesso si può dire, servatis  servandis, delle altre virtù): prima ancora di dover fare del bene, esiste il dovere di non fare del male agli altri, privandoli dei beni materiali o spirituali o dei diritti essenziali. Ne segue un insieme di precetti negativi che obbligano semper et pro semper (cf. n. 52), e che non sono soggetti ad una ponderazione delle conseguenze prevedibili. E' incompatibile con la carità, per esempio, condizionare la scelta di non uccidere un innocente o di non spacciare droga ad una ponderazione delle conseguenze di carattere extra-etico che ne deriveranno. Il problema sta proprio qui, poiché il fatto che nell'attuazione concreta dei precetti positivi possono crearsi collisioni di doveri è stato riconosciuto da sempre, e perciò la morale tradizionale sostiene che tali precetti obbligano semper sed non pro semper (cf. n. 52), rendendo anche giustizia alla distinzione esistente tra il dovere di fare e il dovere di omettere.

Rileviamo, in secondo luogo, che risulta inaccettabile considerare come un male "non-morale" (oppure "ontico" o "pre-morale") la lesione o soppressione di un bene umano deliberatamente e direttamente scelta. La morale non si occupa di eventi naturali (per esempio, la morte), ma di scelte umane e quindi intrinsecamente morali (per esempio, la scelta di causare la morte: suicidio u omicidio). Nell'etica teleologica, la scelta deliberata di uccidere un innocente viene prima moralmente "neutralizzata" paragonando il suo effetto immediato (l'uccisione) all'evento non-morale del morire per cause naturali o comunque indipendenti da qualsiasi volontà umana, per poi introdurre la dimensione morale in dipendenza esclusiva dalla motivazione soggettiva per la quale la scelta di uccidere un innocente è stata presa. Con tale indebita scissione viene anche stravolto il valore assoluto del comandamento dell'amore e della dignità della persona umana come immagine di Dio. Calpestare o sopprimere deliberatamente l'immagine di Dio presente nell'uomo: uccidere degli innocenti, commettere uno stupro, ecc. sono scelte che non è mai lecito prendere in assoluto, e non solo perché un'indagine a posteriori mostri che normalmente non esistono ragioni sufficientemente valide (a giudizio di chi? secondo quale criterio?) per prenderle.

Notiamo infine che il modo di concepire il rapporto tra il comportamento e la moralità della persona (tra l'ambito del "moralmente giusto/errato" e quello del "moralmente buono/cattivo") presuppone che l'attività della ragione pratica regolante le scelte dei comportamenti sia moralmente neutrale, mentre è un'attività in se stessa morale (la prudenza è una virtù etica), pur possedendo una componente intellettiva che in casi intricati potrebbe sfuggire al dominio della volontà. Come negare che chi ritenga di poter risolvere un problema, pur grave, attraverso l'uccisione di un innocente, la violenza sui bambini o sugli anziani, l'adulterio, ecc. dia prova di scarsa moralità?

Queste brevi osservazioni permettono di capire che con la recente presa di posizione la Chiesa "rimane fedele alla verità integrale dell'uomo, e quindi lo rispetta e lo promuove nella sua dignità e vocazione" (n. 83). Gli atti intrinsecamente cattivi, infatti, presuppongono quasi sempre la soppressione o la strumenta­lizzazione di valori e diritti immediatamente legati alla dignità della persona umana. La Chiesa rende un servizio all'uomo ribadendo che tali valori e diritti costituiscono un limite invalicabile, qualunque siano le circostanze e le motivazioni soggettive.



[1] Pubblicato su «L’Osservatore Romano» 1 dicembre 1993. Ristampato sul volume: Lettera Enciclica «Veritatis Splendor». Testo e commenti, Quaderni de «L’Osservatore Romano» 22, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1994, pp. 223-226.