Il riconoscimento legale delle unioni omosessuali Profili etico-politici (2003)[1]

 

Angel Rodríguez Luño

 

Le questioni morali e pastorali riguardanti l’omosessualità sono state trattate da diversi documenti del Magistero della Chiesa negli ulti­mi 20 anni. Con le recenti Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali, la Congregazione per la Dottrina della Fede non intende tornare sulle stesse questioni, bensì illuminare il pro­blema etico-politico che le unioni omosessuali pongono a legislatori e gover­nanti in di­verse parti del mondo. Si tratta della richiesta del riconoscimento legale, per le convivenze omosessuali, di tutti o di alcuni degli effetti civili che il diritto ri­co­nosce ai coniugi, non escluso quello all’adozione di figli. Tale richiesta ri­sponde, talvolta, a motivazioni di ordine pratico ed eco­no­mico; altre volte, invece, si ispira anche a motivazioni di ordine ideologico, espresse con diversi gradi di radicalità. Le posizioni più estreme chiedono che lo Stato dia un pri­mo passo verso un modello sociale nuo­vo, individualistico, liberato da un isti­tuto giuridico, quale il matrimonio, che a loro giudizio sarebbe repressivo e ob­soleto. Lasciando da parte questa e altre posizioni estreme analoghe, alcuni cittadini, legislatori e governanti si chiedono se, indipendentemente dalle per­sonali convinzioni al riguardo, non sia ragionevole o addirittura doveroso che la legge prenda atto di certi feno­meni sociali, allo scopo di evitare che nessun citta­dino possa venir ingiu­sta­mente discriminato a causa del proprio orien­tamento sessuale o della libera assun­zione di forme di vita che non sembrano no­cive per terze persone. Il quesito non riguarda direttamente la ragione­volezza delle pratiche o delle unioni omosessuali in se considerate, ma la ragionevolezza etico-politica delle ordinanze, leggi o altre disposizioni nor­ma­tive ci­vili che le ri­guardano, anche se certamente i due problemi sono connessi.

La convivenza sociale pacifica e giusta esige che vengano riconosciuti a ciascuno non solo i diritti che gli spettano come persona e come cittadino, ma anche che venga riconosciuto il rilievo giuridico proprio delle relazioni che ciascuno liberamente stabilisce o nelle quali è naturalmente inserito. L’essere padre o l’essere figlio, l’essere proprietario o affittuario di un immobile, han­no un  profilo giuridico specifico che comporta doveri e diritti precisi. Ci sono altre relazioni, come per esempio l’amicizia che, pur essendo di grande impor­tanza esistenziale, non possiedono un rilievo giuridico analogo. «L’ami­cizia non è giuridicizzabile non perché il rapporto che unisce affettivamente due persone amiche non risponda ad una logica comunicativa, ma perché si tratta di una logica comunicativa strettamente privata e di conseguenza insin­dacabile e non istituzionalizzabile»[2].

Tutte le grandi culture del mondo hanno dato al matrimonio e alla fa­mi­glia un riconoscimento istituzionale specifico. Il rilievo pubblico del matri­monio si fonda non sul fatto di essere una qualche forma istituziona­lizzata di amicizia o di comunicazione umana, ma sulla sua condizione di stato di vita stabile che per la propria struttura, proprietà e finalità, accettate liberamente dai coniugi, ma non stabilite da loro, svolge un’essenziale e multiforme fun­zione in favore del bene comune: ordine delle generazioni, sopravvivenza della società, educazione e socializzazione dei figli, ecc. Tale ruo­lo sociale di ri­lievo giuridico pubblico non è svolto, neppure in forma analogica, dalle unio­ni omosessuali, che non si vede come potrebbero essere considerate cellu­le fondamentali della società umana. La pretesa di equipa­razione o assi­milazione tra le unioni omosessuali e il matrimonio è manife­stamente infon­data. «Non attribuire lo statuto sociale e giuridico di matri­monio a forme di vita che non sono né possono essere matrimoniali non si oppone alla giustizia, ma, al contrario, è da essa richiesto» (Considerazioni…, n. 8).

Si può tuttavia osservare che, come diceva Aristotele, oltre alle cose giu­ste per natura ci sono cose giuste per convenzione legale. Ammesso che le unio­ni omosessuali non sono idonee ad svolgere il ruolo sociale che, per la na­tura stessa delle cose, svolge l’unione matrimoniale tra l’uomo e la donna, ci si può chiedere se allo Stato non resti ancora lo spazio per creare legitti­ma­mente una o diverse figure di riconoscimento legale delle unioni omo­sessuali. Alla fin fine una buona parte delle figure dell’ordinamento giuridico statale so­no giuste per convenzione, ed è pensabile che tali figure potrebbero subire dei cambiamenti senza perdere la loro sostanziale ragione­volezza.

In termini generali lo Stato ha la legittima facoltà di creare nuove figure legali o di modificare quelle già esistenti. Ma tale facoltà ha molti limiti. Lo Stato può stabilire che gli automobilisti che fino adesso tenevano la destra nelle strade a doppio senso, d’ora in avanti tengano la sinistra. E poi può de­cretare che si tenga di nuovo la destra. Ma mentre la materia conservi la sua ben conosciuta impenetrabilità, lo Stato non può permettere per ragioni ovvie che ciascun automobilista scelga in qualsiasi momento e a suo piacimento di tenere la destra oppure la sinistra. Nelle Considerazioni qui commentate ven­gono esposte abbondanti ragioni, di ordine etico, biologico e antropologico, sociale  e giuridico, che evidenzia­no che nel concedere un riconoscimento le­ga­le specifico delle unioni omosessuali, lo Stato oltrepasserebbe i limiti della sua attività legittima.

Questo tipo di ordinanze o leggi sono oggettivamente, al di là delle motivazioni soggettive, leggi antimatrimoniali e antifamiliari. Le Conside­ra­­zio­­ni notano giustamente che conseguenza inevitabile del riconosci­mento le­gale delle unioni omosessuali «è la ridefinizione del matrimonio, che di­venta un’istituzione la quale, nella sua essenza legalmente ricono­sciuta, perde l’essen­ziale riferimento ai fattori collegati alla eterosessualità, come ad esem­pio il compito procreativo ed educativo. Se dal punto di vista legale il matri­monio tra due persone di sesso diverso fosse solo considerato come uno dei ma­trimoni possibili, il concetto di matrimonio subirebbe un cambiamento ra­di­cale, con grave detrimento del bene comune» (n. 8). Ciò che allora ri­sulterebbe del tutto stravolto è la ragione formale per la quale l’ordinamento legale concede un rilievo giuridico pubblico a una forma di vita o di relazione umana. Non più il ruolo oggettivamente strutturante della vita sociale e del be­ne comune, bensì l’essere espressione dei personali desideri o dell’auto­no­mia privata, cancellando in questo modo l’evidente e innegabile differenza esistente tra il matrimonio e le unioni omosessuali per quanto riguarda la vita sociale. D’altra parte, il principio di autonomia non è compromesso, e perciò non può essere ragionevolmente invocato. «Una cosa è che i singoli cittadini possano svolgere liberamente attività per le quali nutrono interesse e che tali attività rientrino genericamente nei comuni diritti civili di libertà, e un’altra ben diversa è che attività che non rappresentano un significativo e positivo con­tributo per lo sviluppo della persona e della società possano ricevere dallo Stato un riconoscimento legale specifico e qualificato. Ci sono invece buone ragioni per affermare che tali unioni sono nocive per il retto sviluppo della società umana, soprattutto se aumentasse la loro incidenza effettiva sul tessuto so­cia­le» (Considerazioni…, n. 8).

Va tenuta presente in secondo luogo la grande differenza esistente tra un comportamento personale negativo e il suo riconoscimento legale. «Le leggi civili sono principi strutturanti della vita dell’uomo nel seno della società, per il bene e per il male. Esse “svolgono un ruolo molto importante e talvolta de­ter­minante nel promuovere una mentalità e un costume” (Evan­gelium vitae, n. 90). Le forme di vita e i modelli in esse espresse non solo configurano ester­namente la vita sociale, bensì tendono a modificare nelle nuove genera­zioni la comprensione e la valutazione dei comporta­men­ti. La legalizzazione delle unio­ne omosessuali sarebbe destinata perciò a causare l’oscuramento della per­cezione di alcuni valori fondamentali e la svalutazione dell’isti­tuzione ma­tri­moniale» (Considerazioni…, n. 6). Nel passaggio dal fatto al ricono­scimento legale si produce un innegabile danno a terzi e alla società nel suo insieme.

Il danno prodotto a terzi è ancora più grave se venisse accordata alle unio­ni omosessuali la capacità di adozione. «Come dimostra l’esperienza, l’assenza della bipolarità sessuale crea ostacoli allo sviluppo normale dei bam­bini […]. Inserire dei bambini nelle unioni omosessuali per mezzo dell’adozione significa di fatto fare violenza a questi bambini […]. Certa­mente una tale pratica sarebbe gravemente immorale e si porrebbe in aperta contraddizione con il principio, riconosciuto anche dalla Convenzione inter­nazionale dell’ONU sui diritti dei bambini, secondo il quale l’interesse superiore da tutelare in ogni caso è quello del bambino, la parte più debole e indifesa» (Considerazioni…, n. 7).

E non si può affermare che questi e altri danni sarebbero giustificabili perché necessari per evitare che i conviventi omosessuali vengano privati dai diritti comuni che essi hanno come persone e come cittadini. «In realtà, essi possono sempre ricorrere —come tutti i cittadini e a partire dalla loro autonomia privata— al diritto comune per tutelare situazioni giuridiche di re­ciproco inte­resse. Costituisce invece una grave ingiustizia sacrificare il bene co­mune e il retto diritto di famiglia allo scopo di ottenere dei beni che posso­no e debbono essere garantiti per vie non nocive per la generalità del corpo sociale» (Considerazioni…, n. 9). È del tutto pretestuosa l’alterna­tiva o rico­noscimento legale o ingiusta discriminazione. Se in qualche parte del mondo c’è qual­cosa che sa di ingiusta discriminazione, essa va soppressa per vie che non creino ingiustizie e mali di altrettanta impor­tanza. Un male non si elimina con un altro male.

Un aspetto di notevole importanza riguarda la sostanza etica delle dispo­sizioni normative che eventualmente riconoscessero le unioni omo­sessuali. Certamente il compito della legge civile è più limitato riguar­do a quello della legge morale (Cf. Evangelium vitae, n. 71). Di fronte a certe fenomeni talvolta si può o di deve tollerare o tacere. In nessun caso però è possibile legiferare con­tro il Creatore, la cui intenzione, per quanto riguarda il nostro problema, ri­sulta manifesta e inne­gabile a partire da dati biologici, antropologici e sociali incontroverti­bili. Può darsi che a qualcuno piaccia cancellare anche que­sti dati, ma non può pretendere di servirsi dello Stato e del diritto per tale discutibile scopo. Lo Stato entrerebbe in contraddizione con se stesso se accet­tasse una tale strumentalizzazione.

La comunità politica (Stato, Comune, ecc.) che riconosce legalmente le unioni omosessuali dà a se stessa una norma politica gravemente ingiusta. Ne segue sul piano pratico che «in presenza del riconoscimento legale delle unio­ni omosessuali, oppure dell’equiparazione legale delle medesime al matri­mo­nio con accesso ai diritti che sono propri di quest’ultimo, è doveroso opporsi in forma chiara e incisiva. Ci si deve astenere da qualsiasi tipo di coope­razione formale alla promulgazione o all’applicazione di leggi così grave­mente ingiuste nonché, per quanto possibile, dalla cooperazione materiale sul piano applicativo. In questa materia ognuno può rivendicare il diritto all’obie­zione di coscienza» (Considerazioni…, n. 5).



[1] Pubblicato su «L’Osservatore Romano», 1 agosto 2003.

[2] D’Agostino, F., Matrimonio tra omosessuali?, in Aa.Vv., Antropologia cristiana e omosessualità, [Quaderni de «L’Osservatore Romano», 38], Nuova edizione ampliata, Città del vaticano 2000, p. 88.