L’etica come educazione del desiderio (2004)
Angel Rodríguez Luño
1. Inquadramento: le discussioni sull’impostazione fondamentale dell’etica
Le ricerche che ho svolto negli ultimi anni mi hanno portato ad essere sempre più convinto che le divergenze etiche, che oggi registriamo, hanno la loro radice e la loro radicale motivazione non nei disaccordi sulla risposta da dare ad alcuni problemi morali concreti, ma nel disaccordo sull’impostazione fondamentale stessa del sapere etico. E dato che l’etica è un sapere che prende lo spunto dalla morale vissuta e su di essa riflette, tale disaccordo è in realtà un disaccordo sulla concezione generale della vita morale.
Il dibattito sull’impostazione da dare all’etica viene studiato generalmente, e così l’ho fatto anch’io in alcune mie pubblicazioni, mediante una metodologia che si articola in due momenti:
· Prima si cerca di capire se le proposte etiche formulate dai diversi autori, oggi e lungo la storia del pensiero etico, hanno un qualche denominatore comune. In questo modo si arriva ad individuare alcuni tipi fondamentali di riflessione etica che, seguendo le ricerche di G. Abbà, possiamo denominare “figure di etica”.
· In un secondo momento si procede ad un confronto dialettico tra le diverse “figure di etica”, con la speranza di raggiungere orientamenti validi per il nostro lavoro attuale.
Seguendo questa metodologia, alcuni autori sono arrivati alla conclusione, che io condivido pienamente, che ciò che contraddistingue le diverse “figure di etica” è la domanda fondamentale alla quale, secondo ciascuna delle figure, il sapere etico dovrebbe dare risposta. O detto con altre parole: ciò che distingue le diverse “figure di etica” è il loro modo di concepire il fine principale che l’etica persegue.
Applicando questo criterio, è possibile distinguere due modi radicalmente diversi di concepire il sapere etico (e la vita morale):
· Il primo, proprio dell’orientamento che oggi viene chiamato “etica della prima persona” o anche “etica della virtù”, ritiene che l’etica è e deve essere una ricerca sul bene globale dell’uomo, cioè sul bene della vita umana presa come un tutto. L’etica si svolge allora come una discussione sui diversi stili di vita, sui diversi modi di vivere (virtù e vizi), e non sulle singole azioni (questo è secondario, anche se importante). La discussione dovrebbe portare ad individuare quale è la vita migliore da condurre e da desiderare.
· Il secondo orientamento, chiamato “etica della terza persona” o anche “etica normativista”, ritiene che l’etica è e deve essere ricerca e fondazione delle regole o norme morali da osservare. Regole o norme che riguardano azioni singole. Il problema da indagare non è come si deve vivere, ma se l’azione “x” è lecita o illecita. L’impostazione è questa: “Tizio ha realizzato l’azione x; ha agito bene o male?” Perciò si dice che è “un’etica della terza persona”. Da questa prospettiva non è possibile indagare sul desiderio né sullo stile di vita che sarebbe desiderabile. Il giudice delle azioni altrui (terza persona) giudica le azioni, non i desideri.
All’interno dell’etica della terza persona vengono comunemente individuati diversi “sottotipi”, a seconda che le regole da osservare vengano fondate sul valore della convivenza e della collaborazione sociale, oppure sulla necessità di massimizzare la soddisfazione degli interessi delle persone (utilitarismo), oppure sull’autorità indiscutibile di un superiore (lo Stato, Dio, ecc.). Comunque, le etiche della “terza persona” hanno in comune la convinzione che la domanda sul bene globale dell’uomo non possa o almeno non debba essere posta. Le ragioni sulle quali fondano questa convinzione sono diverse a seconda degli autori. Ma in qualche modo tutti ammettono che la concezione del bene dell’uomo è, per eccellenza, l’ambito del pluralismo caratteristico della società odierna. Il tipo di vita da vivere non potrebbe essere oggetto di dovere morale, ma è e deve essere l’oggetto delle più personali e insindacabili opzioni.
Per l’etica della “prima persona”, invece, la decisione di vivere secondo un certo stile di vita è il nocciolo di ogni scelta morale. L’etica della “prima persona” ritiene altresì che orientare e giudicare le scelte che riguardano il bene globale della vita è il compito fondamentale dell’etica e, soprattutto, che un sapere riflessivo non può non porsi la domanda sul bene della vita presa come un tutto, perché tutte le nostre scelte presuppongono una visione delle priorità da assegnare alle nostre attività e ai nostri beni (famiglia, lavoro, posizione economica, riposo, religione, ecc.) e, pertanto, una concezione pratica della vita umana e del suo bene. Anche lo scetticismo più radicale è una concezione della vita umana. Esso ritiene infatti che la felicità, imperfetta e frammentaria, che è possibile raggiungere in questa vita, si ottiene mediante la sospensione del giudizio.
La mia convinzione è qualsiasi discorso etico che voglia spingersi fino in fondo finirà per confluire nell’impostazione caratteristica dell’etica della “prima persona”. Adesso si intende illustrare questa tesi dalla prospettiva dell’antropologia morale.
2. La prospettiva dell’antropologia morale
Scopo fondamentale dell’antropologia morale è capire la libertà dell’uomo e il modo in cui essa si esprime sinteticamente nell’azione morale. L’antropologia morale non è la teoria dell’azione, perché intende riflettere non sull’azione morale nella sua intenzionalità, ma sui presupposti antropologici dell’azione intenzionale.
La nostra comune esperienza dimostra che la libertà umana non è una libertà disincarnata. Certamente essa non si presenta come opzione di un soggetto puramente spirituale, che sta fuori dallo spazio e dal tempo. L’azione libera rappresenta piuttosto il momento culminante di un complicato processo che possiede un certo carattere circolare.
— In questo processo è possibile distinguere analiticamente almeno 5 elementi fondamentali:
1) Le inclinazioni o tendenze, che chiameremo genericamente desiderio. Ma qui non parliamo del desiderio deliberato che segue alla libera scelta, ma dei desideri spontanei, precedenti le libere scelte, che costituiscono la base del nostro dinamismo psichico. Il desiderio o tendenza è la forma in cui si manifestano i bisogni dell’uomo nel suo dialogo col mondo. Hanno una tematica molto ampia: propria conservazione e sicurezza, socialità, autostima, desiderio di sapere, lavoro, necessità di amare e di essere amato, ricerca di senso per la vita e tendenza verso la trascendenza, ecc. In ogni caso, il desiderio o tendenza si presenta come qualcosa che ci viene dato. Non risponde a un’iniziativa dell’individuo, come non risponde ad una nostra personale opzione aver bisogno di cibo oppure l’aver bisogno di vivere in società.
Il desiderio costituisce un principio di selezione degli oggetti significativi e, in questo senso, un principio di configurazione del proprio mondo. Il mondo di ciascuno è anche il risultato dei propri interessi, anche se si deve aggiungere che l’uomo, in virtù dei più elevati processi del pensiero e della volontà, può raggiungere un alto livello di obiettività nella comprensione di se stesso e del mondo (anche se, in pratica, non sempre lo raggiunge).
Il desiderio è vissuto come un movimento che va dallo stato di necessità verso lo stato futuro di soddisfazione, che può essere percepito in modo chiaro o confuso. Ogni tendenza mira a uno scopo. Se la tendenza si apre verso il mondo come un «cercare qualcosa», lo scopo è quel «qualcosa» che viene cercato. La mèta cercata è vista come un valore, come un bene, perché risponde al nostro bisogno. Desiderio e bene (reale o apparente) sono termini assolutamente correlativi.
2) La percezione dei beni che si riferiscono alle tendenze. La presenza o assenza di quello che il desiderio cerca.
3) La reazione affettiva (sentimenti, emozioni, passioni): la persona reagisce positivamente o negativamente a seconda del significato che quanto è stato percepito ha per le tendenze. È il complesso mondo dell’affettività, della vita affettiva. Se le tendenze sono come un impulso che esce dal soggetto e si progetta sul mondo, orientando la ricerca e la percezione, le emozioni e i sentimenti sono la risonanza interiore delle tendenze susseguente alla percezione. Nei sentimenti viene colta e valutata la risposta che viene dal mondo all’interrogazione contenuta nella tendenza. Ogni tendenza o gruppo di tendenze ha i suoi sentimenti specifici.
Interessa sottolineare il ruolo dei sentimenti nella formazione del nostro rapporto con gli altri e col mondo. I sentimenti manifestano che gli altri e il mondo non ci sono indifferenti. Anzi, causano in noi reazioni interiori che ci permettono di valutare la loro incidenza nella nostra vita e nei nostri compiti. La allegria quando si trova una persona amata, la paura di fronte ad una situazione nuova, la vergogna a causa di un nostro errore, rispondono al nostro modo di sentire e di vivere l’incontro col mondo e con gli altri.
Nei sentimenti il mondo è visto dalla prospettiva del valore, e perciò i sentimenti oscillano tra il positivo e il negativo: piacere-dolore, simpatia-antipatia, rispetto-burla, entusiasmo-depressione, e perciò sono chiamati ad svolgere un ruolo importante nella percezione del bene e del male in senso morale: il sentimento anticipa e prepara la valutazione etica, e suggerisce una presa di posizione e la conseguente linea di comportamento.
Considerando i sentimenti in se stessi, il loro valore per noi dipende dalla verità o falsità della valutazione che contengono e dalla correttezza o scorrettezza morale della presa di posizione e della linea di comportamento che suggeriscono.
È difficile esagerare l’importanza del ruolo svolto dai sentimenti nella vita morale. Tuttavia, essi sono moralmente ambigui. La loro ambiguità risponde:
• al fatto che dipendono anche dal modo e dal grado di educazione delle tendenze;
• al fatto che si riferiscono a una tendenza o a varie tendenze, senza poter esprimere nel loro contenuto di valore il ruolo che la tendenza o tendenze interessate svolgono nel bene integrale della persona. In sentimenti non si integrano da soli, ma è sempre necessaria l’attività di integrazione propria della ragione.
4) Il comportamento libero, l’azione, governata dall’intelligenza e la volontà, attraverso le quali la persona interpreta, valuta e dirige (modifica, rifiuto, elaborazione) i tre elementi precedenti, e particolarmente i sentimenti. Se l’azione morale viene vista non isolatamente, non astrattamente, ma all’interno del processo in cui ne avviene la genesi, si capisce perché abbiamo detto che la libertà umana non è disincarnata. Nella vita morale, temi e bisogni procedenti dalla non-libertà vengono continuamente elevati al piano della libertà, dove sono sempre in qualche modo elaborati e trasformati, talvolta corretti o addirittura respinti. La libertà umana si alimenta di motivazioni che spesso non procedono da essa stessa.
5) Gli abiti morali (virtù e vizi), espressione principale della libertà della persona, attraverso i quali modifica, per il bene o per il male, la propria costituzione operativa, cioè: le inclinazioni, le tendenze, la capacità di giudicare, di decidere, di realizzare. Gli abiti morali operano una libera modificazione del desiderio non deliberato. E così sono gli abiti a chiudere il circolo, passando ad essere il primo dei 5 elementi del processo. Nell’uomo concreto, quello reale, il desiderio si trova già modificato a causa degli abiti morali acquisiti .
Poiché l’abito morale opera una modificazione delle tendenze, le virtù etiche hanno una dimensione conoscitiva, vale a dire, le virtù non sono solo necessarie per fare ciò che sappiamo essere buono, ma prima e innanzitutto sono necessarie per sapere che cosa è bene fare in una situazione concreta. Tale dimensione conoscitiva ha il suo fondamento nel carattere di anticipazione proprio dell’interrogazione contenuta nella tendenza e nella valutazione contenuta nel sentimento. Se le tendenze e i sentimenti sono stati educati adeguatamente, la conoscenza da essi fornita sarà vera. Con parole di Aristotele: l’uomo virtuoso «giudica rettamente di ogni cosa, ed in ognuna a lui appare il vero (...) forse l’uomo di valore si distingue soprattutto per il fatto che vede il vero in ogni cosa, in quanto né è regola e misura» (Etica nicomachea, III,4, 1113 a 28-32).
3. L’educazione del desiderio
L’etica della terza persona è interamente, astrattamente, concentrata sull’azione singola: sull’azione comandata e sull’azione vietata. Non è in grado di istituire un rapporto adeguato con il desiderio, che nell’azione viene interpretato, valutato e, a seconda dei casi, accettato, modificato o respinto.
Ora, sappiamo che desiderio e bene sono correlativi. Farsi carico del desiderio è solo possibile se si riesce a capire adeguatamente il valore di ciascuno dei beni che costituiscono lo scopo di ciascuna delle tendenze, e a integrarli tutti in un’immagine vera del bene globale dell’uomo, al quale sono funzionali le tendenze complessivamente considerate. Siamo quindi portati alla prospettiva propria dell’etica della prima persona.
Se il dovere di fare o di omettere delle azioni venisse assunto come punto di partenza, e quindi senza indicare previamente un fine globale positivo e desiderabile, l’etica non potrebbe essere altro che un insieme di doveri e divieti in funzione di uno scopo che, pur nobile, sarebbe sempre parziale, limitato e limitante, sul quale uno sempre potrebbe chiedersi se veramente vale la pena rispettarlo.
Deve esser beninteso che ammettere un limite nella soddisfazione delle tendenze non pone nessun problema in linea di principio. Ogni persona matura lo fa. Ciò che è problematico è ammettere che il limite sia l’istanza prima, unica e assoluta. Le nostre tendenze sono sottoposte a dei limiti nel senso che devono essere ordinate, educate, incanalate in vista della loro realizzazione globale più riuscita, in vista cioè del bene umano, della vita ben riuscita. E allora è il bene umano da raggiungere, e non la limitazione delle tendenze da esso richiesta, la prima e originaria istanza morale. Ogni “no” presuppone un “sì”. Il governo di se stesso richiede conoscere innanzitutto il suo “perché” o il suo “in vista di cui”.
Altrimenti, l’affettività, il desiderio non è educato, ma semplicemente negato, calpestato. E un’etica che calpesta o opprime l’affettività (Kant) costituisce una posizione non sufficientemente stabile, esposta al rischio di passare all’estremo opposto: considerare che l’uomo non è che un fascio di desideri e passioni e che il compito della ragione pratica è capire quale è il modo più efficace di soddisfarli: la ragione schiava delle passioni, come diceva Hume.
Di fronte a queste due posizioni, l’etica della “prima persona” o etica delle virtù si propone come compito etico fondamentale l’educazione del desiderio, in modo tale che la forza delle tendenze e dell’affettività possa dare il suo contributo essenziale alla realizzazione del bene umano. Questo presuppone che l’etica debba innanzitutto tracciare un’immagine del bene umano, e capire come i diversi beni e le diverse attività si integrano nel bene della vita umana presa come un tutto. L’etica insegna innanzitutto non che cosa si deve fare o omettere, ma che cosa sia giusto desiderare, quale tipo di vita sia desiderabile e buono.
BIBLIOGRAFIA
E. Colom – A. Rodríguez Luño, Scelti in Cristo per essere santi. Elementi di Teologia Morale Fondamentale, 3ª ed., Edizioni Università della Santa Croce, Roma 2003, cap. V (nelle due precedenti edizioni questo capitolo non c’è).
A. Rodríguez Luño, Ética General, 5ª ed., Eunsa, Pamplona 2004, cap. V (questo capitolo non c’è nelle tre prime edizioni). Contenuto molto simile al libro precedentemente citato.
A. Malo, Antropologia dell’affettività, Armando, Roma 1999.
Ph. Lersch, Aufbau der Person, J.A. Barth, München 1962. Esiste una traduzione italiana della seconda edizione tedesca: La struttura del carattere, Cedam, Padova 1962. Tuttavia questo libro ha subito una modificazione molto profonda a partire della quarta edizione tedesca, fino al punto di cambiare persino il titolo. Se non si può leggere il tedesco, è preferibile consultare la traduzione spagnola dell’ottava edizione tedesca: La estructura de la personalidad, Scientia, Barcelona 1966.
S. Harack, Virtuous Passions: The Formation of Christian Character, Paulist Press, New York – Mahwah (NJ) 1993.