L’IMPEGNO DEI CRISTIANI IN POLITICA (2004) [1]
Enrique Colom
Un articolo relativamente recente mostra il contrasto che esiste in Italia — ma lo stesso si potrebbe dire per altri paesi di antica tradizione cristiana — tra l’insistenza dei pastori sull’importanza, anzi sulla necessità dell’impegno politico dei cattolici, e il diffuso disimpegno in questo ambito. Per di più lo studio riguarda specificamente i catechisti, cioè le persone incaricate di formare le nuove generazioni cattoliche[2]. L’articolo può suscitare due atteggiamenti opposti. Uno pessimistico: se i cristiani più vicini agli insegnamenti della Chiesa non percepiscono concretamente la necessità dell’impegno politico, sembra superfluo insistervi ulteriormente e dedicare un convegno a questo tema. L’altro, che io preferisco, decisamente più ottimistico: il diffuso disinteresse in campo politico deve servire di stimolo per perseverare in tale insegnamento, per insistere sulla necessità dell’impegno politico, e sulle caratteristiche che esso deve avere; e bisogna farlo non solo al livello teoretico, ma anche al livello pratico e in modo incisivo.
A tale proposito è bene ricordare alcune parole espresse da Paolo VI nell’Evangelii nuntiandi: l’evangelizzazione — diceva il Papa — «è un processo complesso e dagli elementi vari: rinnovamento dell’umanità, testimonianza, annuncio esplicito, adesione del cuore, ingresso nella comunità, accoglimento dei segni, iniziative di apostolato»[3]. Anche l’evangelizzazione del sociale richiede questi elementi: la formazione dell’intelligenza per sapere come agire; il rinnovamento del cuore per volerlo e farlo con costanza; la testimonianza, con opere e con parole, di tale impegno, sia personale sia collettivo; il desiderio di trasmettere ad altri gli stessi ideali di impegno sociale.
Pur essendo consapevole dei limiti che una relazione necessariamente deve avere, vorrei soffermarmi su alcuni di questi aspetti dell’evangelizzazione dell’ambito politico. Dividerò il mio intervento in due parti: 1ª) Il diritto-dovere dei cattolici nei confronti dell’impegno politico; 2ª) Alcuni elementi che favoriscono un corretto svolgimento di tale impegno.
1. Il diritto-dovere all’impegno politico
Tutti coloro che partecipano alla vita sociale, vale a dire tutti gli uomini, hanno il diritto e il dovere di impegnarsi in campo politico. Naturalmente, ognuno lo farà con modalità diverse, secondo la sua situazione e le sue attitudini; ma nessuno può rimanere estraneo a questo importante compito. Ciò è particolarmente vero per i cristiani, come tenterò di mostrare muovendo da tre punti di vista complementari: quello della Redenzione, quello della perfezione personale e quello della vita sociale.
Prima però vorrei fare una precisazione: il diritto-dovere di partecipare alla vita politica deriva dalla cittadinanza delle persone. In tal senso, un cattolico non ha una situazione particolare che accresca o riduca tale diritto-dovere rispetto al resto della società. L’essere cattolico costituisce però, di fronte alla propria coscienza, un ulteriore motivo per vivere con più responsabilità l’impegno politico. Il mio intervento si concentrerà su questo secondo aspetto: esso vuol essere un appello alla coscienza dei cristiani, non alle istituzioni sociali perché permettano o facilitino l’impegno dei cristiani in politica.
1.1. Il punto di vista della Redenzione
La vita cristiana non è tanto una dottrina o una teoria, quanto, appunto, una vita, la vita in Cristo, cioè la sequela, l’identificazione e la trasformazione in Gesù. Tale sequela Christi va vissuta in tutti gli ambiti dell’esistenza umana, anche in quello politico. Perciò l’insegnamento della Chiesa in questo campo va al di là della proposta di un insieme di principi, di giudizi e di direttrici: esso è, soprattutto, un invito e un aiuto per identificarsi con Gesù — per cercare la santità — attraverso il compimento accurato dei propri doveri sociali. Cristo ha redento tutto l’uomo, anche nel suo essenziale rapporto con gli altri e con la società. La realtà sociale naturale è stata assunta nel disegno redentore, come palesano i frequenti riferimenti alla vita sociale del Nuovo Testamento[4]: il discorso di Paolo nell’Areopago (cfr. At 17,26-27), ad esempio, mostra il genere umano nell’unità della sua origine, del suo fine e dei mezzi che si devono impiegare per raggiungerlo; e la lettera ai Colossesi (1,15-20) insegna anche che l’unità del genere umano è stata rafforzata dall’opera redentrice di Cristo. Tutte le attività temporali possono quindi essere vissute come risposta alla vocazione divina, nella quale la persona segue le orme del Signore.
La salvezza compiuta da Gesù è fondamentalmente liberazione dal peccato, si indirizza verso la vita eterna, e gli uomini la ricevono come un dono dall’alto. Tuttavia, nell’esperienza della salvezza l’uomo scopre il vero significato della sua libertà ed è educato al suo retto uso. Così alla dimensione soteriologica della liberazione viene ad aggiungersi una dimensione etica: la persona è chiamata ad agire in favore della liberazione da ciò che schiavizza l’uomo, anche riguardo ai rapporti sociali. Sebbene la salvezza non possa essere ridotta alla dimensione etico-sociale, che ne è una conseguenza, la distinzione tra le due non comporta una separazione; infatti, la vocazione dell’uomo alla vita eterna non elimina, anzi conferma il suo dovere di mettere in atto le energie e i mezzi per sviluppare la sua vita temporale. Perciò nessuna realtà umana — ambito politico incluso — è estranea al disegno redentore e, pertanto, all’evangelizzazione e alla missione della Chiesa e dei cristiani. In tal senso, l’ambito secolare e mondano non si può disgiungere dalla storia della salvezza, perché la società, con tutto quanto essa comporta, riguarda la vita di ogni persona concreta, che è «la prima e fondamentale via della Chiesa»[5]. Prendersi cura dell’uomo significa, per la Chiesa e per i cristiani, coinvolgere anche la società nella loro sollecitudine salvifica. I cristiani, sull’esempio di Gesù, hanno un compito da adempiere nelle diverse aree della vita sociale, e non possono disinteressarsi dell’ambito politico. Sarebbe come tagliarsi fuori dalla storia e dal mondo, in cui sono posti e chiamati a compiere la loro missione. Di conseguenza, occorre ribadire con fermezza che «la dottrina sociale cristiana è parte integrante della concezione cristiana della vita»[6].
Tuttavia, «si osservano a volte degli atteggiamenti che derivano dall’incapacità di penetrare in questo mistero di Gesù. Per esempio, la mentalità di chi vede nel cristianesimo soltanto un insieme di pratiche e atti di pietà, senza coglierne il nesso con le situazioni della vita ordinaria, con l’urgenza di far fronte alle necessità degli altri e di sforzarsi per eliminare le ingiustizie. Direi che chi ha questa mentalità non ha ancora compreso che cosa significa che il Figlio di Dio si sia incarnato, abbia preso corpo, anima e voce umana, abbia condiviso il nostro destino, fino a sperimentare la suprema dilacerazione della morte. Magari senza volere, alcune persone considerano Cristo come estraneo all’ambiente degli uomini. Altri, invece, tendono a immaginare che per poter essere umani bisogna mettere in sordina alcuni aspetti centrali del dogma cristiano, e agiscono come se la vita di preghiera, il colloquio continuo con Dio, costituissero un’evasione dalle proprie responsabilità e un abbandono del mondo. Dimenticano che fu proprio Gesù a rivelarci fino a quali estremi debbono essere spinti l’amore e il servizio. Soltanto se cerchiamo di capire il mistero dell’amore di Dio, il mistero dell’amore che arriva fino alla morte, saremo capaci di darci totalmente agli altri senza lasciarci sopraffare dalle difficoltà o dall’indifferenza»[7].
L’aspetto totalizzante della Redenzione evidenzia, inoltre, che l’autentica verità dell’agire politico si può riconoscere, nella sua compiutezza, soltanto alla luce del Verbo Incarnato, che svela pienamente l’uomo all’uomo e gli rivela la sua altissima vocazione[8]. Le attività sociali, benché e anche perché sono state rese gravose dopo il peccato, vengono corroborate da Cristo come luogo di incontro con Dio, ed elevate in modo mirabile ad una nuova dignità. Ancor prima che in dichiarazioni esplicite del Signore, questa suprema qualità dell’agire sociale va ricercata nella condizione stessa di Gesù. Egli, assumendo una vita umana perfetta, fa pienamente sua la vocazione originaria dell’uomo, le ridona — con sovrabbondanza — la sua radicale dignità, per mezzo della Croce ne santifica la componente di difficoltà, e con la Risurrezione vi apre prospettive di vita eterna. Ma c’è di più: il Signore fonda la fraternità umana sull’unione delle divine Persone: l’umanità acquisisce così il suo maggiore grado di coerenza come famiglia di Dio, nella quale la pienezza della legge si trova nell’amore; perciò nessuno può svilupparsi in senso pieno se non attraverso un’autentica donazione agli altri. Cristo assume la storia del mondo, stimola, purifica e rinvigorisce le aspirazioni umane per sottomettere le realtà temporali, e ricorda che anche nella trasformazione del mondo la legge fondamentale è il comandamento dell’amore[9]. Difatti, «l’impegno per una società più giusta e solidale è un debito d’amore che ogni cristiano sa di avere verso ciascun uomo e tutti gli uomini, in ognuno dei quali risplende il volto del Padre, che egli cerca e prega»[10].
In breve: sebbene la crescita del Regno di Dio e la promozione umana non si identifichino, esiste tra di esse una concatenazione profonda ed inscindibile. Perciò la sequela di Cristo richiede l’ottemperanza dei doveri politici, e questi si possono compiere con maggiore perfezione se sono animati dallo spirito cristiano. Tutto ciò pone ai cristiani obblighi specifici: essi non devono considerare le strutture sociali, politiche ed economiche come indifferenti rispetto alla storia salvifica, ma come realtà affidateci dal Signore come compito e connotate dalla scelta libera e responsabile degli uomini e, quindi, positivamente o negativamente relazionate ai valori del Regno.
1.2. Punto di vista della perfezione personale
Il disegno del Creatore include la vita sociale degli uomini (cfr. Gn 2,18): la loro natura tende alla vita in società e alla comunione con gli altri, come mezzo indispensabile per il proprio sviluppo. Dio ha chiamato l’uomo a raggiungere la patria celeste tramite l’agire terreno; sicché tutte le attività umane indirizzate a far progredire questa vita corrispondono alle intenzioni del Creatore, e le persone devono compierle responsabilmente: «I fedeli devono riconoscere la natura intima di tutta la creazione, il suo valore e la sua ordinazione alla lode di Dio; e aiutarsi a vicenda nel condurre una vita più santa anche mediante le loro attività secolari, perché il mondo sia impregnato dello spirito di Cristo e raggiunga più efficacemente il suo fine nella giustizia, nella carità e nella pace»[11]. Alla luce di queste verità si comprende come l’impegno della persona nel progresso materiale e spirituale di tutta la società sia una parte integrante della vocazione con cui Dio chiama ogni uomo al conseguimento del proprio fine personale, cioè alla santità. Infatti, come già accennato, in unione con Cristo l’operare politico acquisisce una dignità tutta nuova: non è soltanto un’opera “indifferente” resa buona da qualcosa di esterno, ma è molto di più poiché, per l’unione con Cristo, tale agire diviene una realtà santa, santificata e santificante nella storia della salvezza: è una vocazione divina, e in esso la persona si unisce ancora di più a Gesù e con Gesù si identifica[12].
Conseguentemente, il raggiungimento della perfezione personale e l’ottenimento della santità sollecitano l’impegno di ciascuno ad assumersi il proprio ruolo nelle opere collettive. Bisogna sottolineare che i cristiani non possono considerare gli avvenimenti sociali “dal di fuori”, come spettatori; ma devono capirli e meditarli, alla luce della fede, come chiamate che lo Spirito Santo rivolge ad ognuno, per identificarsi con Gesù. Ciò comporta la necessità di studiare e giudicare i fenomeni sociali da un punto di vista “cristiano” (con gli occhi di Cristo), per poi agire di conseguenza. Difatti, gli obblighi sociali sono una precisa responsabilità di ogni persona, e per questo ognuno sarà giudicato nell’ultimo giorno (cfr. Mt 25,31-46): non esiste un’autentica vita cristiana (neppure umana) se si tiene poco conto dei bisogni, delle leggi e delle istituzioni sociali. E ciò è ancora più vero nelle circostanze odierne, in cui la crescente interdipendenza sottolinea pressantemente che tutti siamo veramente responsabili di tutti[13]. Perciò il Vaticano II ammonisce: «Il cristiano che trascura i suoi impegni temporali, trascura i suoi doveri verso il prossimo, anzi verso Dio stesso, e mette in pericolo la propria salvezza eterna»[14].
Talvolta si è detto che la preoccupazione dei cristiani per l’aldilà fa loro dimenticare i problemi del mondo presente. La realtà è diametralmente opposta: poiché la vita eterna dipende dal nostro agire in questo mondo, e più specificamente dall’agire in favore degli altri, occorre riconoscere che la vita cristiana è un forte incentivo ad impegnarsi seriamente nella costruzione di una società più giusta e fraterna. Perciò, l’impegno per la giustizia, per la pace, per i più poveri, per la solidarietà universale, si adempie con maggior diligenza ed integrità a partire dalla scelta per Gesù Cristo (cfr. Mt 6,33; Gc 3,15-18). Difatti «non si può essere sinceramente votati alla causa di Dio e della Chiesa senz’essere sinceramente votati alla causa dell’uomo. L’autenticità e la credibilità dell’amore per Dio e per la Chiesa passano inevitabilmente attraverso l’amore per l’uomo e l’impegno per la giustizia e la pace. (...) Anche per questo la verifica dell’amore per l’uomo può divenire occasione di verifica dell’amore per la Chiesa e per Dio»[15].
1.3. Punto di vista della società
Lo scopo precipuo della politica è il raggiungimento del bene comune[16]. E un elemento essenziale del bene comune è la sua comunitarietà, vale a dire, la sua estensione a tutte le persone e a tutti i settori della società: tutti, secondo le proprie condizioni, hanno il dovere di partecipare alla sua edificazione e il diritto di usufruirne. Il dovere di partecipare allo sviluppo del bene comune non riguarda però tutte le persone nella stessa misura; è un dovere differenziato a seconda del ruolo sociale di ognuno. Tale responsabilità è propria in primo luogo dello Stato e dei poteri pubblici, poiché questa è la loro ragion di essere e, conseguentemente, il loro dovere primario[17].
Ciò però non giustifica il disimpegno per il bene comune delle singole persone e dei gruppi sociali. Poiché il bene comune è il fine della società, tutti i suoi membri sono responsabili nell’instaurarlo e conservarlo: nessuno, tenendo conto della propria funzione e possibilità, può rifiutare la sua partecipazione alla promozione del bene comune[18]. Di più: come la dottrina della Chiesa insegna e la storia ha dimostrato, per assicurare un saldo bene comune occorre una floridezza di società intermedie; «queste, infatti, maturano come reali comunità di persone ed innervano il tessuto sociale, impedendo che scada nell’anonimato ed in un’impersonale massificazione, purtroppo frequente nella moderna società»[19]. Bisogna, pertanto, sottolineare che l’impegno per il bene comune è condizione necessaria per un vero sviluppo delle associazioni intermedie in quanto tali. E, come già accennato, lo è anche per la crescita personale di ogni singolo cittadino[20]. La necessità dell’impegno di tutti per il bene comune comporta la necessità dell’impegno di tutti nella vita politica.
Non bisogna inoltre dimenticare che la convivenza umana esercita un notevole influsso sul senso della vita personale e, di conseguenza, sul modo in cui l’uomo comprende se stesso e decide come impostare la propria condotta, e quali siano le regole e le istituzioni sociali più adatte; queste, a loro volta, influiscono fortemente sulla cultura e sulla condotta delle persone. Per di più, le strutture e le attività politiche sono normalmente di lunga durata e possiedono un raggio di azione molto vasto sulla vita e sullo sviluppo delle persone e delle comunità. Sicché l’agire politico ha in sé una notevole importanza dal punto di vista umano ed esige un grande senso di responsabilità. Tali ragioni palesano che i cristiani possono — anzi, devono — interessarsi all’evoluzione della vita politica, e più in concreto alla sua qualità morale, vale a dire, a favorire mediante il proprio agire politico, lo sviluppo integrale di ogni persona.
1.4. Obbligatorietà dell’impegno politico
Da quanto detto si desume la straordinaria portata umanizzante (o disumanizzante) dell’attività politica. Perciò «la Chiesa ha un’alta stima per la genuina azione politica; la dice “degna di lode e di considerazione” (Gaudium et spes, n. 75), l’addita come “forma esigente di carità” (Octogesima adveniens, n. 46). Riconosce che la necessità di una comunità politica e di una pubblica autorità è inscritta nella natura sociale dell’uomo e quindi deriva dalla volontà di Dio»[21]. Di conseguenza, tutti gli uomini sono chiamati da Dio a vivere con responsabilità i propri doveri sociali e a perseguire lo sviluppo personale e comunitario anche nel compimento di tali doveri. L’impegno sociale che risponde a questa vocazione contribuisce a meglio ordinare l’umana società e a diffondere sulla terra, secondo il disegno divino, i beni che le sono propri, quali la dignità dell’uomo, la fraternità e la libertà[22]. Da ciò derivano il diritto e il dovere di impegnarsi per migliorare la vita pubblica, organizzandola in modo conforme alla dignità della persona umana. Questo è oggi un diritto ampiamente accettato nella società. Ma è anche un dovere, poiché libertà non significa soltanto mancanza di coazione o indifferenza nell’agire; la libertà è una formidabile energia, una fonte potenziale di progresso che non deve rimanere inattiva, né nelle singole persone, né nelle comunità e nei paesi. Anzi, la “salute” di una comunità politica si esprime, tra l’altro, «mediante la libera partecipazione e responsabilità di tutti alla cosa pubblica»[23]. La politica richiede, pertanto, l’impegno responsabile di tutti i cittadini: in assenza di libertà, ogni dialettica pubblica, ogni tentativo di collaborazione e di raggiungimento del consenso sociale sarebbero impossibili. Essa ne è il fondamento e la radice[24].
A ciò si deve aggiungere che l’ottenimento di un bene — incluso il bene comune — esige un impegno attivo. La politica non può limitarsi all’ambito teoretico: non basta comprendere perché un’azione umana sia buona o cattiva in ordine al bene sociale. Il suo scopo è anche, e principalmente, quello di “dirigere” l’agire umano verso il bene: perciò la politica possiede una “praticità” inerente al suo stesso enunciato. Questa propensione alla prassi risulta trasformata ed elevata, nell’insegnamento sociale cristiano, dalla forza della Parola di Dio, che è viva ed efficace (cfr. Eb 4,12), e mai rimane senza effetto (cfr. Is 55,11); sicché la dottrina sociale della Chiesa troverà credibilità nell’effettivo impegno dei fedeli per metterla in pratica, prima ancora che nella validità dei suoi principi. La spinta all’azione si trova già nei principi di tale dottrina; il suo obiettivo, infatti, non è solo qualcosa da percepire, ma è qualcosa da raggiungere: la persona e la società acquisiscono la loro pienezza quando mettono in pratica gli imperativi morali ad esse corrispondenti. Inoltre la teologia, specialmente quella morale, e di conseguenza la dottrina sociale della Chiesa, non sono un sapere asettico o puramente accademico: la morale interpella personalmente chi la coltiva e la studia; non basta conoscerla, occorre anche viverla, per poterla capire e trasmettere meglio. L’insegnamento sociale cristiano possiede, pertanto, un’imprescindibile dimensione pratica, e deve evitare una grave e deleteria dicotomia: quella che separa la fede dalla vita. Lo sforzo per impregnare la società dello spirito di Cristo è conseguenza necessaria della decisione (sorretta dalla grazia di Dio) di vivere il messaggio evangelico in modo profondo e coerente.
Occorre, pertanto, ribadire con fermezza che «un uomo o una società che non reagiscano davanti alle tribolazioni e alle ingiustizie, e che non cerchino di alleviarle, non sono un uomo o una società all’altezza dell’amore del Cuore di Cristo. I cristiani — pur conservando sempre la più ampia libertà di studiare e di mettere in pratica soluzioni diverse, e godendo pertanto di un logico pluralismo — devono coincidere nel comune desiderio di servire l’umanità. Altrimenti il loro cristianesimo non sarà la Parola e la Vita di Gesù; sarà un travestimento, un inganno, di fronte a Dio e di fronte agli uomini»[25]. Non è proprio del cristianesimo un malinteso distacco che porta a vedere le cose del mondo come estranee ai propri interessi, né una lamentazione sterile che nulla risolve. È necessario che i cristiani apportino alla vita sociale l’elemento vivificatore dei principi evangelici, rispettando l’autonomia delle realtà terrene, che, pure, costituisce un principio evangelico. In tale impegno, come d’altro canto in qualsiasi impegno cristiano, grande rilevanza assume la vita vissuta. È di somma importanza che i cristiani ottemperino con esemplare responsabilità i propri doveri politici, come ci è stato insegnato dai Pontefici sin dalle prime encicliche sulla vita sociale.
Così Leone XIII ricorda che per i fedeli «l’astensione totale dalla vita politica non sarebbe meno biasimevole che il rifiuto di qualsiasi concorso al pubblico bene: tanto più che i cattolici in ragione appunto dei loro principi, sono più che mai obbligati di portare nei propri impegni integrità e zelo»[26]. E Paolo VI invitava tutti a fare, a questo proposito, un serio esame di coscienza: «Ciascuno esamini se stesso per vedere quello che finora ha fatto e quello che deve fare. Non basta ricordare i principi, affermare le intenzioni, sottolineare le stridenti ingiustizie e proferire denunce profetiche: queste parole non avranno peso reale se non sono accompagnate in ciascuno da una presa di coscienza più viva della propria responsabilità e da un’azione effettiva. (...) In tal modo, nella diversità delle situazioni, delle funzioni, delle organizzazioni, ciascuno deve precisare la propria responsabilità e individuare, coscienziosamente, le azioni alle quali egli è chiamato a partecipare»[27]. Indirizzate direttamente ai fedeli laici, le seguenti parole di Giovanni Paolo II sottolineano come questo grave dovere di tutti i cattolici sia oggi sempre più pressante: «Situazioni nuove, sia ecclesiali sia sociali, economiche, politiche e culturali, reclamano oggi, con una forza del tutto particolare, l’azione dei fedeli laici. Se il disimpegno è sempre stato inaccettabile, il tempo presente lo rende ancora più colpevole. Non è lecito a nessuno rimanere in ozio»[28]. Si deve perciò prendere la decisione di influire positivamente sulla vita politica, evitando così un’apparente vita cristiana, che non può essere autentica se trascura i doveri sociali.
2. Alcuni elementi che favoriscono un corretto impegno politico
Dopo aver rilevato la necessità dell’impegno politico da parte dei cristiani, è opportuno ricordare alcuni aspetti che facilitano la proficua realizzazione di tale attività. I temi che si potrebbero trattare sono moltissimi. Ci soffermeremo su tre di essi, che sembrano particolarmente importanti: la finalità intrinseca dell’agire politico, i mezzi che mai si devono omettere e, da ultimo, il ruolo dei laici in questo ambito.
2.1. Finalità dell’agire politico
Giovanni Paolo II, nell’esortazione apostolica Christifideles laici, afferma che la politica è la «molteplice e varia azione economica, sociale, legislativa, amministrativa e culturale, destinata a promuovere organicamente e istituzionalmente “il bene comune”». E poco dopo ricorda: «Una politica per la persona e per la società trova il suo criterio basilare nel perseguimento del bene comune, come bene di tutti gli uomini e di tutto l’uomo, bene offerto e garantito alla libera e responsabile accoglienza delle persone, sia singole che associate»[29]. Queste frasi sintetizzano un costante insegnamento della Chiesa: lo scopo immediato della politica è quello di promuovere organicamente e istituzionalmente il bene comune. Perciò la politica, ad ogni suo livello, non va considerata soltanto come un metodo per costituire, consolidare ed esercitare il potere pubblico; né va vista come una procedura tecnica per il buon andamento di quanto corrisponde alla natura, alla finalità, ai mezzi e alle forme di organizzazione dello Stato. La politica è soprattutto un servizio al bene comune, che necessariamente include il bene integrale di ogni persona appartenente ad una determinata società[30]. Da qui l’importanza di capire correttamente cosa sia il bene comune, affinché l’agire politico sia ad esso adeguato.
Il Vaticano II insegna che il bene comune è «l’insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono ai gruppi, come ai singoli membri, di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente»[31]. La finalità del bene comune è, pertanto, quella di aiutare e facilitare la realizzazione di ogni persona umana, affinché essa “sia” di più, e progredisca secondo l’integra verità dell’uomo. Ciò richiede che gli elementi materiali, culturali e spirituali siano sviluppati in modo armonico, sia in ogni singola persona, sia nei rapporti tra le diverse persone e i diversi gruppi sociali. Occorre ricordare che il bene comune non è la semplice somma degli interessi particolari, ma implica la loro valutazione e composizione, in base ad un’equilibrata gerarchia di valori e, in ultima analisi, ad un’esatta comprensione della dignità e dei diritti umani[32]. E bisogna sottolineare che, poiché la perfezione della persona è intimamente legata alla sua dimensione trascendente, cioè alla sua relazione con Dio, il bene comune si ricollega, innanzitutto, all’aspetto spirituale e morale dell’uomo, a cui corrisponde la preminenza tra i diversi elementi dell’uomo stesso[33]. Preminenza, purtroppo, frequentemente dimenticata nel concreto agire politico odierno.
Certo, la priorità dell’aspetto trascendente non esclude la necessità dei beni terreni, ma fa sì che questi siano integrati nel quadro generale della vita umana senza prendere il sopravvento: l’agire umano deve orientarsi a che «le cose tutte siano indirizzate a Dio come a primo e supremo termine di ogni attività creata, e tutti i beni creati siano riguardati come semplici mezzi, dei quali in tanto si deve far uso, in quanto conducono al fine supremo»[34]. Perciò la Chiesa ha sempre insegnato che l’impegno sociale non riguarda soltanto i valori terreni e, ancor meno, quelli prettamente materiali, ma anche e soprattutto i valori personali, spirituali e trascendenti, che sono i più spiccatamente umani[35]. Lo sviluppo integrale include il possesso di beni materiali, ma lo scopo di tali beni è di contribuire alla maturazione e all’arricchimento della persona umana in quanto tale. Per risolvere le “questioni sociali”, per trovare più efficienti strutture di governo o di produzione è necessario quindi che la ricerca sia accompagnata e, in un certo senso, preceduta dalla consapevolezza delle questioni umane più profonde e basilari.
Affinché l’agire politico miri al bene di tutto l’uomo, oltre a tener conto della gerarchia dei beni umani, bisogna ricordare la necessità di far leva su tre diversi livelli, tutti necessari e mutuamente connessi: il livello personale, il livello strutturale e il livello culturale. Infatti, «il sociale, il politico, l’economico e il civile, quali espressioni dell’uomo, soggetto libero e responsabile, per essere più conformi all’idealità loro intrinseca richiedono la preminenza della ragione riflessiva e della ragione pratica; la preminenza dell’eticità come impegno eroico per la verità, la giustizia e l’amore, che assieme alla libertà sono i pilastri di una convivenza ordinata e feconda, pacifica; il primato dello spirituale. Ciò può essere meglio attuato se ogni persona avrà una cultura adeguata, umanizzata ed umanizzatrice»[36].
Bisogna curare, in primo luogo, lo sviluppo delle persone poiché il tentativo di migliorare la società senza impegnarsi per il miglioramento personale non può che rivelarsi illusorio[37]. Invece, è appunto dalla conversione del cuore che scaturisce la sollecitudine per l’uomo, amato come fratello; questa sollecitudine, a sua volta, fa percepire come un obbligo l’impegno per risanare le istituzioni, le strutture e le condizioni di vita contrarie alla dignità umana (secondo livello). Occorre perciò adoperarsi tanto per la conversione dei cuori quanto per il miglioramento delle strutture sociali, tenendo conto della situazione storica e usando mezzi leciti, al fine di realizzare una vita politica veramente umana. Una crescita interiore che non si impegni per i miglioramenti sociali è soltanto apparente; e un impegno politico non sorretto da valori interiori è debole e poco duraturo.
In aggiunta ai cambiamenti personali e istituzionali, occorre compiere un terzo passo, senza il quale i primi due rimarrebbero in uno stato di precarietà: bisogna cioè impregnare la cultura di fermenti etici, i soli che danno solidità allo sviluppo umano integrale. «È insufficiente e riduttivo pensare che l’impegno sociale dei cattolici possa limitarsi a una semplice trasformazione delle strutture, perché se alla base non vi è una cultura in grado di accogliere, giustificare e progettare le istanze che derivano dalla fede e dalla morale, le trasformazioni poggeranno sempre su fragili fondamenta»[38]. Infatti, la cultura comprende tutti i mezzi con cui gli uomini sviluppano le loro qualità spirituali e corporali, trasformano il mondo con il lavoro, rendono più umana la vita sociale, conservano e comunicano le loro esperienze e aspirazioni affinché possano servire al progresso del genere umano[39]. In questo senso, la cultura va considerata come il bene comune di ciascun popolo, come l’espressione della sua dignità, libertà e creatività. Perciò il servizio alla persona e alla società umana si esprime e si attua attraverso la creazione e la trasmissione della cultura, e ciò costituisce uno dei principali compiti della convivenza umana e del progresso sociale[40]. A tal fine occorre un impegno costante, poiché è noto che il radicamento culturale presuppone la formazione di atteggiamenti intellettuali e morali, e tende a permeare tutte le realtà umane[41]. Inoltre in politica, forse più che in altri campi, non basta risolvere le questioni che si presentano giorno per giorno: è necessaria una programmazione culturale di ampio respiro. Il fallimento di tanti progetti fatti con buona volontà, ma privi di lungimiranza ne è la prova palese.
2.2. I mezzi dell’impegno politico
La parola mezzi, soprattutto se applicata alla vita politica, include una molteplicità di significati: dalle conoscenze specifiche alle attitudini caratteriali, dalla violenza alla capacità di persuasione. Qui prederemo in considerazione soltanto i mezzi congruenti con l’intera verità sull’uomo e, più concretamente, quelli che, tenendo conto dello scopo proprio della politica, sono imprescindibili per raggiungerlo. In questo senso, il primo “mezzo” dell’attività politica è quello di salvaguardare la sua dimensione morale.
a) Dimensione morale della politica
L’indole “olistica” della Redenzione e la realtà della libertà umana testimoniano che tutto l’agire personale appartiene all’ordine morale: l’arte, la scienza, la tecnica, la politica, l’economia, ecc., non si possono considerare soggetti neutrali dal punto di vista della crescita umana. E siccome la politica è finalizzata a promuovere la dignità delle persone, vale a dire, al raggiungimento del bene di tutti gli uomini e di tutto l’uomo, l’agire politico, più di altri ambiti dell’agire umano, è particolarmente legato alle esigenze morali. Infatti, «è nella persona umana, intesa nell’integralità dei suoi diritti e doveri, che deve trovarsi la base di partenza, il punto di incontro e il criterio deontologico per l’agire politico o per agire in politica. Il primato e la centralità della persona umana relativizzano ogni sistema politico e la stessa politica, sottolineandone vigorosamente il carattere funzionale e di servizio»[42]. Sicché la metodologia politica non deve essere sorretta da un’antropologia di tipo quantitativo (che aspira ad un gran numero di consensi), bensì da un’antropologia qualitativa che mira ad ottenere la fiducia dei cittadini; una fiducia che occorre conquistare giorno per giorno tramite un comportamento e un insieme di istituzioni e di leggi che siano in sé affidabili. Il primo e decisivo fulcro della politica è dunque la persona.
Da ciò deriva il precipuo imperativo morale dell’agire politico, vale a dire, il rispetto della dignità della persona umana, la necessità di riconoscere e di promuovere una gamma di valori e di principi che favoriscano il bene di tutti, la promozione e la realizzazione di una vita morale coerente, poiché i valori etici non vissuti si affievoliscono e finiscono per sparire, sia nella vita personale che in quella sociale. Di conseguenza, anche per svolgere in pienezza l’attività politica, occorre che le persone non solo non tralascino i propri doveri morali, ma si impegnino maggiormente in essi. «L’etica proposta dalla DS [dottrina sociale della Chiesa] è un’etica del bene comune e delle virtù. In tutti i suoi testi non manca mai un appello perché gli uomini pratichino le fondamentali virtù sociali. (...) L’etica sociale cristiana ritiene un’illusione che si possano raggiungere la giustizia e il bene comune senza un costante esercizio delle virtù: non ci sono regole, né leggi, né contratti che possano dispensare da tale necessità»[43]. Naturalmente è vero anche l’inverso: le virtù morali da sole non bastano; occorre anche stabilire le norme, le istituzioni, ecc. idonee per raggiungere il bene comune.
Il principio cardine dell’etica sociale è la dignità di ogni essere umano. Tale dignità ha un limite negativo invalicabile che va applicato sempre a tutte le persone: non bisogna mai considerare una persona come una semplice parte di un corpo sociale e non bisogna abbassarla in nessun caso a mezzo, perché ogni persona ha sempre il valore di fine, in quanto titolare di diritti intangibili ed inviolabili. Tali diritti, che l’autorità politica deve tutelare in ogni circostanza, costituiscono non soltanto un confine invalicabile, ma anche un obiettivo da raggiungere. Perciò il rispetto della persona esige la solidarietà, perché nessuna fascia sociale (economica, etnica, religiosa, ecc.) deve essere esclusa dal bene comune; l’instaurazione di uno Stato di diritto, in cui i diritti fondamentali di tutti vengano tutelati; la libertà e l’autonomia delle diverse associazioni; la possibilità di cambiare periodicamente i governanti e le stesse istituzioni politiche; la promozione dell’uguaglianza e della giustizia sociale; la possibilità di organizzare liberamente la propria esistenza; la facoltà di partecipare alla gestione della vita pubblica, sia direttamente sia attraverso una rappresentanza politico-sociale. Sono esigenze costantemente ricordate dall’insegnamento sociale della Chiesa e che coincidono con la maggiore consapevolezza che le persone hanno della propria libertà e della necessità di viverla in comune con gli altri.
Da quanto detto si evince, e la storia lo ha mostrato in molteplici occasioni, che una vita sociale sana dipende da una moralità personale sana. E, viceversa, la separazione tra etica e politica risulta funesta per la stessa vita sociale[44]. Questo perché la storia dell’umanità non è mossa da un determinismo impersonale, ma da una costellazione di soggetti dai cui atti liberi dipende l’ordine sociale. Difatti, le istituzioni sociali non garantiscono da sé, quasi meccanicamente, il bene di tutti: i rapporti politici, nei loro diversi livelli, «presentano zone spesso così delicate e nevralgiche, che non sono suscettibili di essere disciplinate con quadri giuridici ben definiti. Per cui le persone investite di autorità (...) devono avere idee chiare sulla natura e sull’ampiezza dei loro compiti; e devono essere persone di grande equilibrio e di spiccata dirittura morale, fornite di intuito pratico, per interpretare con rapidità e obiettivamente i casi concreti, e di volontà decisa e vigorosa per agire con tempestività ed efficacia»[45]. Ciò è richiesto soprattutto a coloro che si dedicano all’attività politica per un motivo di esemplarità, ma non soltanto: siccome le stesse condizioni della convivenza umana rivestono un’enorme importanza sotto il profilo della perfezione personale, è doveroso che i valori morali presiedano l’agire politico al fine di facilitare il bene integrale di tutte le persone.
b) Impegno politico e coerenza cristiana
La fedeltà morale trova un sostegno particolarmente valido nella vita cristiana: essa insegna l’intera verità sull’uomo e sorregge saldamente la condotta morale delle persone. Perciò la fede si rivela un aiuto di prim’ordine e, in un certo senso, necessario per interpretare e per risolvere le vicende che riguardano la convivenza sociale, poiché alla base di esse si trovano elementi propriamente culturali e morali che, a loro volta, si fondano sul senso religioso[46]. Penso che questa sia stata una delle intuizioni felici di Weber, che considerava il modo in cui le persone e i gruppi vivono l’esperienza religiosa, un fattore importante del comportamento politico ed economico. Se vissute con coerenza, le credenze religiose — soprattutto quella cristiana — sono sempre un elemento importante dell’agire umano, sia nell’ambito individuale sia in quello che riguarda le rispettive comunità di appartenenza.
In questo senso «bisogna ripetere che non c’è vera soluzione della “questione sociale” fuori del Vangelo e che, d’altra parte, le “cose nuove” possono trovare in esso il loro spazio di verità e la dovuta impostazione morale»[47], giacché solo Cristo è la “pietra angolare” sulla quale la società può trovare stabilità e salvezza[48]. Al contrario, se si affievolisce la fede in Dio e in Gesù Cristo, e si spegne negli animi la luce dei principi morali, viene scalzato l’unico e insostituibile fondamento che può sorreggere un vero e duraturo ordine sociale[49]. È un asserto, questo, che non può essere trascurato nelle decisioni sociopolitiche, se si vuole trattare l’uomo secondo la sua piena verità e dignità. Di conseguenza, l’impegno politico dei fedeli è in stretto rapporto con una vita cristiana congruente: ciò è necessario al fedele sia per capire correttamente il suo inserimento nel disegno divino, sia per viverlo nella sua pienezza. È insensato, pertanto, chiedere che in politica tutti agiscano “come se Dio non ci fosse”[50]. Al cristiano si chiede di unire la vita attiva e la vita contemplativa, senza cadere negli estremi, poiché se manca l’azione politica egli tralascerà i propri doveri cristiani, se manca la contemplazione non sarà in grado di identificare il vero bene personale e sociale.
I cristiani — in particolare i laici — sono chiamati a vivere in unità di vita, cioè a contemperare armonicamente gli aspetti secolari (politica, famiglia, lavoro, ecc.) e gli aspetti trascendenti (liturgia, preghiera, evangelizzazione, ecc.) che compongono la vita cristiana[51]. Negli impegni del cristiano «non possono esserci due vite parallele: da una parte, la vita cosiddetta “spirituale”, con i suoi valori e con le sue esigenze; e dall’altra, la vita cosiddetta “secolare”, ossia la vita di famiglia, di lavoro, dei rapporti sociali, dell’impegno politico e della cultura»[52]. Certamente, la strada del miglioramento interiore delle persone come presupposto per migliorare le strutture politiche può sembrare «più ardua, più lunga, più complessa. A volte essa può apparire anche non adeguata all’urgenza dei problemi. Ma è l’unica che permette soluzioni veramente umane e durature. Per il credente [, inoltre,] è in gioco la fedeltà al cammino del Cristo»[53]. D’altro canto, non va dimenticato che vivere l’impegno politico per un motivo trascendente collima perfettamente con la natura umana e, di conseguenza, ravviva tale impegno e produce risultati più concreti da un punto di vista sociale. Insomma, la fede cristiana svolge un ruolo importante nella costruzione della società. Anche per questo il Vaticano II ricorda: «Il distacco, che si constata in molti tra la fede che professano e la loro vita quotidiana, va annoverato tra i più gravi errori del nostro tempo»[54].
È chiaro che tutto ciò non può costituire un alibi per la pigrizia e il disimpegno, né significa che la politica debba essere succube della religione, ma piuttosto che essa deve servire l’uomo e, di conseguenza, deve rientrare nell’ambito della morale, il cui fondamento saldo è Dio. In tal senso, oltre alla buona volontà e all’uso dei mezzi soprannaturali, l’agire politico esige un accurato discernimento delle situazioni, dei mezzi e dei valori in gioco. La complessità delle questioni sociali non sempre rende facile la loro soluzione: occorre, però, non cedere alla passività né inseguire utopie, bensì cercare le vie più efficaci per raggiungere il bene comune, senza mai adottare condotte immorali, con la consapevolezza che — se noi facciamo ciò che è nelle nostre possibilità — Dio elargisce sempre gli aiuti necessari per risolvere in modo adeguato i problemi politici, piccoli o grandi che siano. In questo senso, la spiritualità del cristiano impegnato nell’ambito politico consiste nella maturazione della sintesi interiore e profonda tra l’obbedienza al disegno di Dio e l’impegno storico speso alla ricerca di strumenti e nel perfezionamento o nella creazione di istituzioni che rispondano alle esigenze ordinarie dell’esistenza terrena.
Inoltre, la dottrina cristiana non offre soluzioni tecniche ai problemi politici, ma — in determinati casi — assicura che tali soluzioni si possono trovare: il mondo è coerente e finalizzato al bene, giacché partecipa della verità e della bontà di Dio; così la fede fornisce “il senso del senso” e stimola le persone a proseguire nella ricerca e nell’impegno per migliorare questo mondo. L’aiuto della fede è particolarmente importante nei rapporti comunitari, a causa della loro immediata incidenza sulla vita delle persone: la versatilità dell’oggetto, la difficoltà di studiare “asetticamente” i problemi umani, la complessità di tali questioni, ecc., rendono le questioni sociali più vulnerabili all’assedio delle ideologie, che, d’altro canto, si sono dimostrate incapaci di risolverle, poiché offrono spiegazioni che non vanno oltre la superficialità delle raccolte fenomeniche o che applicano un a priori riduttivo e, di conseguenza, finiscono per togliere all’uomo ciò che egli ha di più umano[55]. Ciò spiega perché lo stesso progresso odierno, separato da un profondo senso umano, generi una crescente insoddisfazione nelle società tecnicamente più evolute; ma, paradossalmente, contribuisca anche «a rendere gli esseri umani più consapevoli dei propri limiti, a far riaffiorare in essi l’anelito verso i valori dello spirito»[56].
E qui si inserisce anche la missione della Chiesa in questo ambito, che non è soltanto quella di stimolare i cristiani a compiere i loro doveri terreni, ma anche quella di annunciare all’uomo che, con l’aiuto della grazia, si può superare il male e raggiungere il bene, giacché il Signore ha redento tutto l’uomo e lo ha riscattato «a caro prezzo» (1 Cor 6,20). È appunto la grazia sovrabbondante della Redenzione che sorregge saldamente l’agire politico del cristiano e che accende la speranza in un mondo migliore, nonostante il peccato e i reiterati fallimenti che si constatano nella storia[57]. Tale realtà infonde un grande vigore allo sviluppo sociale, perché da essa deriva una motivazione perenne e profonda per incoraggiare gli impegni terreni e politici; essa comunica fiducia e ottimismo sulla possibilità di costruire un mondo più a misura d’uomo, anche se mai esisterà un «paradiso in terra»[58]. Le motivazioni religiose della Redenzione annunciata dalla Chiesa possono non essere condivise, ma l’atteggiamento etico che ne deriva costituisce uno dei cardini comuni più forti attorno ai quali si può sviluppare lo sforzo dei cristiani e di tutti gli uomini di buona volontà per un cammino da compiere insieme.
Non da ultimo, la religione cristiana è una fonte inesauribile di amore fraterno, base indispensabile della società. La chiave di volta del cristianesimo è che l’uomo, immagine e somiglianza di Dio e chiamato all’identificazione con Gesù, trova il senso della sua vita e la propria pienezza e felicità nell’amore; in modo precipuo nell’amore di Dio, nella carità soprannaturale. Tuttavia, propria dell’amore è la donazione di sé in favore della persona amata e dei suoi congiunti: l’amore di Dio comporta, pertanto, l’amore del prossimo e, di conseguenza, l’impegno sociale. «L’essere cristiani non è una circostanza accidentale: è una realtà divina che si innesta nel più profondo della nostra vita dandoci una visione chiara e una volontà decisa, per poter agire secondo il volere di Dio. Si impara così che il pellegrinaggio del cristiano nel mondo deve trasformarsi in un servizio continuo, un servizio con modalità che variano secondo le circostanze personali, ma che deve essere sempre improntato all’amore di Dio e del prossimo. Essere cristiani è agire senza pensare ai traguardi meschini del prestigio o dell’ambizione o ad altre finalità che possono sembrare più nobili, come la filantropia e la compassione davanti alle disgrazie altrui: è passare attraverso tutto questo, mirando al termine ultimo e radicale dell’amore che Cristo ha rivelato morendo per noi»[59]. Per raggiungere la loro compiutezza i rapporti sociali devono impostarsi all’insegna del dare e del ricevere amore; un amore che imita, in un certo senso, la stessa vita intratrinitaria. A tale riguardo, bisogna ribadire la necessità di amare — con opere e verità — il prossimo, non soltanto nei “rapporti stretti”, bensì con un amore che si dilata senza confini, poiché la dinamica interna della carità fa sì che essa tenda ad abbracciare l’intera umanità e diventi carità politica e sociale. In questo senso la politica va intesa come «un servizio efficiente e disinteressato agli uomini»[60]. Tale realtà viene corroborata, per opposizione, ricordando che l’inizio e l’accrescimento della “questione sociale”, sono avvenuti appunto in un’epoca in cui il pensiero ideologico indicava l’antagonismo, la lotta e perfino l’odio come il “motore” della storia.
La necessità dell’amore anche in ambito sociale mostra come il principale nemico di una società veramente umana sia l’egoismo, cioè la ricerca del vantaggio proprio a scapito o almeno senza tener conto di quello altrui[61]. Perciò, se si vuole una società correttamente ordinata, occorre formare tutti i componenti della società stessa nella mutua donazione e nell’amore fraterno, e favorire la sua istituzionalizazzione in ordinamenti e strutture sociali. La carità sociale e politica non si esaurisce nei rapporti inter-individuali, ma si dispiega nella rete in cui tali rapporti si inseriscono, che è appunto la comunità sociale e politica, e su questa interviene, cercando il bene possibile per la comunità nel suo insieme.
L’amore fraterno, a livello personale e sociale, ha un fondamento saldo soltanto se sorretto sull’Assoluto. Perciò senza l’amore di Dio e senza l’identificazione con Gesù Cristo l’impegno sociale tende a svanire: nella carità si armonizzano amore verso Dio, amore verso il prossimo e amore verso se stessi. Viceversa, un vuoto di preoccupazione sociale evidenzia anche un vuoto di carità verso Dio e un rifiuto del comandamento di Cristo. Naturalmente la preminenza della carità non deve far dimenticare la necessità di stabilire un ordinamento sociale e delle istituzioni, che sono essenziali per la vita di una comunità, né l’importanza delle altre virtù e delle capacità necessarie per un proficuo servizio al bene comune. Ai cristiani impegnati in politica è chiesto di vivere tutte le virtù cristiane e umane secondo la loro forma originale di vita, cioè accettando di confrontarle con la precarietà e la grandezza delle strutture socio-politiche.
c) Inefficacia del comportamento onesto?
In contrasto con quanto detto, dobbiamo ammettere che esiste una diffusa ammirazione, non sempre confessata, per coloro che, comportandosi in modo disonesto negli affari pubblici, tuttavia “la fanno franca”. Parallelamente si ritiene spesso che in ambito pubblico, soprattutto in quello politico, un comportamento onesto non risulti efficace. Da ciò nasce non soltanto l’idea che la politica sia sempre un “affare sporco” — il che accresce la disaffezione per questo ambito —, ma anche la pretesa di giustificare tale comportamento[62]. «Oggi siamo in presenza di un tentativo in grande scala, a livello planetario e continentale, di annullare la nostra coscienza, personale e collettiva. Le società più avanzate sono alla ricerca di un “sistema societario” che possa rendere inutili e vani sia i valori sia le norme propriamente umane: il tentativo è quello di costruire un “sistema sociale” che consenta all’uomo di procedere senza dover fare scelte propriamente etiche, cioè fra il bene e il male»[63]. In altre parole: la convinzione che un comportamento onesto sia inefficace giustificherebbe in politica l’impiego di certi mezzi che in altri ambiti si considerano immorali: la menzogna, la slealtà, la calunnia, ecc.[64]. Ma, anche limitandoci ad un’ottica puramente terrena e materialistica, occorre rilevare che un comportamento del genere tende ad estendersi a macchia d’olio — come si è visto in tanti paesi in tempi recentissimi —, e quando dilaga la disonestà dilagano gli svantaggi materiali per tutti. Poi, con un’ottica più profondamente antropologica, è facile capire che i vantaggi che si possono ottenere mediante una condotta immorale sono ben poca cosa rispetto alla perdita umana di chi agisce così: già Socrate sosteneva che è peggio perpetrare un’ingiustizia che subirla, e lo stesso ha sempre insegnato la dottrina cristiana[65]. In definitiva, la salute sociale di uno Stato dipende dal carattere morale dei suoi cittadini[66].
Nella sua opera L’uomo e lo Stato, Maritain dedica il capitolo III al problema dei mezzi. Dopo aver parlato di quelli prettamente politici, aggiunge: «Esiste infine una categoria di mezzi completamente differenti, sui quali a dire il vero la nostra civiltà occidentale ha fermato a stento la sua attenzione, e che offrono allo spirito umano uno sconfinato campo di scoperta: parlo dei mezzi spirituali sistematicamente applicati all’ambito temporale, dei quali un esempio straordinario ci è stato offerto dal Satyagraha di Ghandi. Vorrei chiamarli “mezzi di guerra spirituale”»[67]. Sicché, oltre ai mezzi politici, occorre adoperare i mezzi più profondamente “umanistici”, vale a dire morali, come ricorda la dottrina sociale della Chiesa, di cui mi sembra opportuno ricordare alcuni brevi brani.
«Se il perseguimento dello sviluppo richiede un numero sempre più grande di tecnici, esige ancor di più uomini di pensiero capaci di riflessione profonda, votati alla ricerca di un umanesimo nuovo che permetta all’uomo moderno di ritrovare se stesso, assumendo i valori superiori d’amore, d’amicizia, di preghiera e di contemplazione»[68]. Così anche la Libertatis conscientia: la Chiesa «pensa che occorra, anzitutto, fare appello alle capacità spirituali e morali della persona e all’esigenza permanente della conversione interiore, se si vogliono ottenere cambiamenti economici e sociali che siano veramente al servizio dell’uomo. Il primato dato alle strutture e all’organizzazione tecnica sulla persona e sulle esigenze della sua dignità è espressione di un’antropologia materialistica, ed è contrario all’edificazione di un giusto ordine sociale». E la stessa istruzione, dopo aver parlato della lotta armata come di un rimedio estremo, ricorda che «a causa del continuo sviluppo delle tecniche impiegate e della crescente gravità dei pericoli implicati nel ricorso alla violenza, quella che oggi viene chiamata “resistenza passiva”, apre una strada più conforme ai principi morali e non meno promettente di successo»[69]. In modo analogo Giovanni Paolo II analizza il disfacimento dei regimi comunisti: «Merita, poi di essere sottolineato il fatto che alla caduta di un simile “blocco”, o impero, si arriva quasi dappertutto mediante una lotta pacifica, che fa uso delle sole armi della verità e della giustizia. Mentre il marxismo riteneva che solo portando agli estremi le contraddizioni sociali fosse possibile arrivare alla loro soluzione mediante lo scontro violento, le lotte che hanno condotto al crollo del marxismo insistono con tenacia nel tentare tutte le vie del negoziato, del dialogo, della testimonianza della verità, facendo appello alla coscienza dell’avversario e cercando di risvegliare in lui il senso della comune dignità umana»[70].
Invero tutto ciò non comporta la futilità dei mezzi e delle tecniche politiche, che sono imprescindibili. Ma sottolinea che essi, da soli, non bastano: occorre che siano accompagnati e, ancor meglio, preceduti dai mezzi e dalle tecniche morali e spirituali. Abbiamo già ricordato che l’egoismo è il più grande nemico di una vita sociale sana; ciò, perché l’amore disordinato per se stessi tende ad assolutizzarsi e a usare le cose e le persone per il proprio tornaconto fino all’abuso e alla sopraffazione[71]. Soltanto l’amore, il servizio, la donazione, vale a dire i mezzi morali, sono in grado di edificare una società autenticamente umana, non solo a lunga, ma anche a breve scadenza.
d) Necessità della formazione
Quanto detto mette in luce la necessità di unire la formazione tecnico-politica con quella morale. Il Concilio Vaticano II ricorda che «la vera educazione deve promuovere la formazione della persona umana sia in vista del suo fine ultimo sia per il bene delle varie società, di cui l’uomo è membro e in cui, divenuto adulto, avrà mansioni da svolgere»[72]. Difatti, per tradurre l’impegno politico in un’azione efficace per lo sviluppo sociale, e per maturare una realistica capacità di iniziativa politica, la persona deve acquisire adeguate competenze tecniche e lucidità di discernimento, nonché le necessarie qualità morali. Ciò viene corroborato dal punto di vista trascendente che, come abbiamo visto, include la responsabilità nel sociale, e richiede una specifica formazione. Tale formazione implica lo sviluppo delle attitudini politiche opportune, ma ancora più a monte l’acquisizione della necessaria dottrina morale e religiosa e la pratica assidua delle virtù sociali. Nell’educazione politica dei fedeli occorre distinguere, di conseguenza, due livelli: il primo può essere descritto come l’edificazione della personalità sociale, intesa come l’insieme delle qualità che rendono la persona in grado di assumere efficacemente l’impegno politico; tale personalità si edifica all’interno degli itinerari formativi, attenti a promuovere le conoscenze e gli atteggiamenti sociali fondamentali. Il secondo livello è quello dell’educazione civile e politica, che va impartita diligentemente affinché tutti svolgano adeguatamente il loro ruolo nell’ambito delle comunità in cui sono inseriti.
Poiché la dottrina sociale della Chiesa trova la sua forza più nella pratica che nella coerenza dei suoi principi, occorre che l’educazione sociale non rimanga soltanto al livello teoretico, ma mostri parimenti, e forse più insistentemente, i modi concreti di applicare tale insegnamento. Tutto ciò comporta un articolato approccio dottrinale, etico, culturale e spirituale alle questioni politiche. A tal fine si deve promuovere sia la conoscenza della dottrina sociale, sia la capacità di discernimento della realtà, in modo da rendere il fedele in grado di prendere decisioni coerenti e di attuare interventi sociali realistici. Accanto al momento dottrinale, dunque, va collocato quello pratico, relativo ai mezzi operativi necessari alla realizzazione dei progetti, nelle situazioni sociali di fatto esistenti. Occorre quindi promuovere esperienze che consentano di tradurre gli orientamenti della dottrina sociale in termini concreti, all’interno di una matura unità tra vita morale e azione pubblica. Le competenze sociali, politiche ed economiche devono radicarsi, infatti, nelle qualità intellettuali, morali e spirituali della persona.
In questo ambito è particolarmente importante non cedere al relativismo etico, e non confondere la giusta autonomia dei cattolici in politica con la disattenzione nei confronti dei valori etici umani e cristiani[73]. Non va dimenticato che le persone fanno crescere la comunità politica perché mirano al compimento della loro umanità, e a ciò sono spinte dalla loro tensione naturale verso il vero e verso il bene perfetto. Anche in ambito politico l’intelligenza e la volontà umana sono costitutivamente orientate verso il vero e il bene e, di conseguenza, sono estranee allo scetticismo e al relativismo etico. Va però ricordato che la cultura odierna deve fare i conti con le difficoltà proprie del secolarismo e del permissivismo, che indeboliscono le risorse morali e veritative delle persone, anche di molti cristiani che vengono “contagiati” come per osmosi. Tali circostanze richiedono, sempre più pressantemente, di approfondire la formazione politica integrale per vivere con maggiore maturità e discernimento i propri impegni, se necessario con un comportamento controcorrente. Questo discernimento deve essere particolarmente accurato quando sono coinvolti verità e valori umani e cristiani essenziali. Nella situazione odierna, con un pluralismo sovente affine al relativismo e all’indifferenza morale, occorre, oltre alla virtù della fortezza e a una solida personalità, un’intensa formazione e un profondo rinnovamento delle coscienze per compiere i peculiari doveri politici.
È opportuno soffermarci un momento anche su un tema che viene riproposto oggi con una certa frequenza: alle volte si sente dire che i cattolici dovrebbero rinunciare alla propria dottrina quando agiscono in una funzione pubblica[74]: ciò è illusorio e ingiusto. Illusorio, poiché le convinzioni di una persona — derivate o meno da una fede religiosa — influiscono necessariamente su quanto tale persona decide e su come agisce; ingiusto, perché i non cattolici — per quanto si è appena detto — applicano in questo ambito le proprie dottrine. Difatti, tutti i cittadini, siano o meno cristiani, hanno il diritto e il dovere di agire coerentemente con le proprie idee, rispettando le differenze e la dignità di ogni persona. Anzi, accantonare le proprie convinzioni nella vita politica, accademica, culturale, ecc., comporterebbe una mancanza di sincerità, che è una virtù indispensabile nei rapporti sociali. Perciò i cristiani, in particolare coloro che partecipano da protagonisti all’impegno complesso e gravoso della gestione della vita pubblica, non possono eludere la responsabilità di un’adeguata conoscenza dell’insegnamento sociale della Chiesa e di una pratica politica che sia con essa coerente. Ciò è ancora più urgente nella nostra epoca: «In una società pluralista (…), si rende necessaria una maggiore e più incisiva presenza cattolica, individuale e associata, nei diversi settori della vita pubblica. Per questo è inammissibile, in quanto contraria al Vangelo, la pretesa di circoscrivere la religione all’ambito strettamente privato, dimenticando paradossalmente la dimensione essenzialmente pubblica e sociale della persona umana. Uscite, dunque, per strada, vivete la vostra fede con gioia, portate agli uomini la salvezza di Cristo che deve permeare la famiglia, la scuola, la cultura e la vita politica!»[75].
2.3. Il ruolo dei laici
Quanto detto vale in modo particolare per i fedeli laici. Infatti, il cristiano è colui che si sa chiamato a vivere in Cristo (cfr. Gal 2,20; Fil 1,21), ad identificarsi con Lui in virtù di quanto Dio stesso opera imprimendo nella persona l’immagine del Figlio. L’essere del cristiano è grazia che viene da Dio; e il suo operare deve essere la manifestazione del dono ricevuto, che si realizza mediante la grazia divina. Così, nel cristiano, l’essere e l’operare diventano espressione della buona novella di salvezza che Dio realizza in Cristo Gesù per tutti gli uomini: il vivere cristiano, pertanto, assume la connotazione di spiegare nel tempo e nello spazio la missione del Salvatore.
Tale missione ha un denominatore comune a tutti i fedeli, ma ognuno deve viverla in conformità con la vocazione ricevuta: sacerdote, religioso o laico. La funzione propria e specifica del laico, anche se non unica né esclusiva, è quella di contribuire alla santificazione delle realtà terrene quasi dall’interno. Tale “indole secolare” dei fedeli laici non si limita ad essere una realtà di fatto, ma è anche una qualità teologica ed ecclesiale; una qualità, cioè, che qualifica i rapporti che tali fedeli hanno con Dio nella Chiesa[76]. Il fatto che l’indole secolare del laico sia di carattere teologico, implica che egli deve — mediante i suoi compiti nel mondo (familiari, politici, professionali, ecc.) — portare a termine quella parte di missione della Chiesa che a lui, in quanto suo membro, corrisponde; egli deve cioè, essere, in modo particolare, fermento e sale della terra. In altre parole: con la responsabilità di sapersi figli di Dio e con lo spirito che ciò comporta, i laici devono costruire e gestire la società al servizio degli uomini. Pertanto, dalla vocazione battesimale e dalla peculiare indole secolare scaturisce la specifica responsabilità ecclesiale dei fedeli laici, protagonisti dell’evangelizzazione della vita politica e sociale. Essi assumono le realtà terrene nella loro densità creaturale e nella loro legittima autonomia, per purificarle ed elevarle, affinché diventino espressione della carità di Dio per l’uomo[77]. Dio li chiama a vivere nel mondo e a compiere la loro missione cristiana (santità e apostolato) nelle loro mansioni terrene. I fedeli laici trovano nel mondo l’ambito specifico della loro vocazione: una chiamata divina da vivere nel mondo e nella Chiesa con personale responsabilità.
A tal fine, occorrono — come già accennato — un’adeguata formazione e un serio impegno: «Ai laici spettano propriamente, anche se non esclusivamente, gli impegni e le attività temporali. Quando essi, dunque, agiscono quali cittadini del mondo, sia individualmente sia associati, non solo rispetteranno le leggi proprie di ciascuna disciplina, ma si sforzeranno di acquistarsi una vera perizia in quei campi. Daranno volentieri la loro cooperazione a quanti mirano a identiche finalità. Nel rispetto delle esigenze della fede e ripieni della sua forza, escogitino senza tregua nuove iniziative, ove occorra, e le realizzino. Spetta alla loro coscienza, già convenientemente formata, di inscrivere la legge divina nella vita della città terrena. Dai sacerdoti i laici si aspettino luce e forza spirituale. Non pensino però che i loro pastori siano sempre esperti a tal punto che ad ogni nuovo problema che sorge, anche a quelli gravi, essi possano avere pronta una soluzione concreta o che proprio a questo li chiami la loro missione: assumano invece essi, piuttosto, la propria responsabilità, alla luce della sapienza cristiana e facendo attenzione rispettosa alla dottrina del magistero»[78].
Tutti i cristiani godono di un’ampia libertà nel loro agire politico; ma non soltanto nell’agire: secondo l’insegnamento appena ricordato del Vaticano II, essi hanno la stessa autonomia per quanto riguarda gli ideali e i progetti da proporre in questo ambito. Anche per questo, nell’impegno di “cristianizzazione” della realtà politica, i laici non sono semplici esecutori, ma creatori di pensiero sociale. La loro opera di interpretazione e traduzione della dottrina sociale risulta, infatti, arricchita dalla specifica esperienza di fede e dalle conoscenze di cui essi sono depositari. Ciò è di grande utilità per l’aggiornamento e la diffusione della dottrina sociale cristiana, che può sviluppare le proprie virtualità grazie a una feconda e costante comunicazione e unità di intenti tra le varie componenti del popolo di Dio.
Applicando adesso il criterio già ricordato della necessità di crescita personale per migliorare la società, va rilevato che la possibilità dei laici di concorrere all’edificazione di una società degna dell’uomo si radica in primo luogo nell’impegno personale di santità: soltanto un uomo che diventa nuovo in Cristo può rinnovare autenticamente le strutture e i rapporti politici. Nell’adempiere la propria missione cristiana, in e per mezzo delle loro incombenze secolari, i laici dimostrano quanto sia importante il valore della preghiera, delle virtù e dell’abnegazione per affrontare le realtà sociali e migliorarle; ciò, come abbiamo ricordato, si realizza concretamente a partire dalla conversione interiore e dal perfezionamento integrale della persona, base necessaria di una corretta e altrettanto necessaria formazione nell’ambito specifico della politica. Bisogna inoltre sottolineare che la partecipazione allo sviluppo della società è, nel contempo, per le persone, fonte di grande arricchimento e di crescita in tutte le loro doti[79]. In questo senso, la vita di santità dei laici si trova intimamente collegata con la loro indole secolare e, di conseguenza, con i loro impegni nel mondo; e sarebbe un grave errore tentare di edificarla al margine di tali impegni.
Anche per questo bisogna sottolineare l’importanza del ruolo svolto, nell’evangelizzazione della politica, dalle associazioni, dai movimenti e dai gruppi laicali impegnati a vivificare cristianamente i vari settori dell’ordine temporale. Infatti, essi, preoccupandosi seriamente della formazione delle persone, costituiscono un punto di riferimento privilegiato in quanto operano nella vita sociale in conformità con la loro fisionomia ecclesiale, avvalendosi, peraltro, della qualificata esperienza dei propri membri nell’apostolato sociale[80]. Non va però dimenticato che per le aggregazioni ecclesiali che hanno come obiettivo l’azione pastorale in ambito politico, vale la «distinzione tra le azioni che i fedeli, individualmente o in gruppo, compiono in nome proprio, come cittadini, guidati dalla coscienza cristiana, e le azioni che essi compiono in nome della Chiesa in comunione con i loro pastori»[81].
Conclusione
Oggi si assiste a una crescente spoliticizzazione dei cittadini, che si manifesta con una indifferenza generalizzata verso i problemi che riguardano la società (a condizione che essi non ledano gli interessi personali). Il crollo delle ideologie[82], che va accolto con gioia, ha però portato con sé anche il crollo delle idee e degli ideali politici. L’uomo appare ipersensibile di fronte a ciò che lo riguarda personalmente e incredibilmente apatico nei confronti del bene comune. La causa principale di tale atteggiamento è forse la perdita di significato della vita personale e sociale, per cui le persone tendono a rifugiarsi nell’immediato e nell’effimero. Un’altra causa, non meno grave, va ricercata nel disincanto generato dall’immoralità privata e pubblica di molte persone e di tanti gruppi politici. In definitiva la spoliticizzazione di cui si parlava è dovuta, soprattutto, a cause morali e culturali. Una ragione in più per impegnarsi seriamente e con un alto profilo etico nell’ambito dell’attività politica.
Occorre ribadire ancora che il cristiano coerente non può disinteressarsi di tale attività, non può essere succube della passività o della rassegnazione in questa sfera così importante per il bene di tutti gli uomini. La partecipazione alla vita politica è un diritto e un dovere, che ognuno dovrà assumersi a seconda delle personali competenze e delle proprie condizioni, ma senza cessioni né scoraggiamenti. Si potrebbe riassumere tutto ciò sottolineando la necessità che ogni cristiano si impegni seriamente per:
- apprezzare positivamente la genuina vita politica e diffondere tale considerazione;
- confidare nei valori cristiani come elementi umanizzanti; e
- accrescere la propria idoneità politica e la propria formazione morale.
[1] Prolusione nel Simposio “Etica politica e cultura democratica”, Roma, 11-12 marzo 2004, pubblicata in A. Rodríguez Luño - E. Colom (cur.), Teologia ed etica politica, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2005, pp. 79-112.
[2] Cfr. R. Lombardi, Per una educazione cristiana all’impegno politico, in Aa.Vv., Chiesa e politica, Morcelliana, Brescia 2000, pp. 291-330.
[3] Paolo VI, Es. ap. Evangelii nuntiandi, 8-XII-75, n. 24.
[4] Cfr. Mt 22,15-22; Rm 10,12; 2 Ts 3,10; Gc 5,1-6; 1 Pt 2,13-18; ecc.
[5] Giovanni Paolo II, Enc. Redemptor hominis, 4-III-1979, n. 23.
[6] Giovanni XXIII, Enc. Mater et Magistra, 15-V-1961: AAS 53 (1961) 453.
[7] San Josemaría Escrivá, È Gesù che passa, 7ª ed., Ares, Milano 2003, n. 98.
[8] Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, n. 22.
[9] Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, nn. 22, 24, 32, 38; Giovanni Paolo II, Enc. Laborem exercens, 14-IX-1981, nn. 26-27: l’enciclica si riferisce esplicitamente al lavoro, ma mutatis mutandis i suoi insegnamenti possono ugualmente applicarsi a tutto l’agire sociale.
[10] G. Crepaldi, Presentazione, in Aa.Vv., Radicalità evangelica e impegno politico, AVE, Roma 1994, p. 7.
[11] Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 36. «Secondo la dottrina cristiana, lo scopo per cui l’uomo dotato di una natura socievole, è stato messo su questa terra, è che, vivendo in società e sotto un’autorità sociale ordinata da Dio, coltivi e svolga pienamente tutte le sue facoltà, a lode e gloria del Creatore; e adempiendo fedelmente i doveri della sua professione o della sua vocazione, qualunque sia, giunga alla felicità temporale ed insieme all’eterna» Pio XI, Enc. Quadragesimo anno, 15-V-1931: AAS 23 (1931) 215.
[12] Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 519-521.
[13] «Sia sacro per tutti includere tra i doveri principali dell’uomo moderno e osservare gli obblighi sociali. Infatti, quanto più il mondo si unifica, tanto più apertamente gli obblighi degli uomini superano i gruppi particolari e si estendono a poco a poco al mondo intero. E ciò non può avvenire se i singoli uomini e i loro gruppi non coltivano in se stessi le virtù morali e sociali e non le diffondono nella società, cosicché sorgano uomini veramente nuovi, artefici di un’umanità nuova, con il necessario aiuto della grazia divina» Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, n. 30; cfr. Giovanni Paolo II, Enc. Sollicitudo rei socialis, 30-XII-1987, n. 38.
[14] Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, n. 43.
[15] M. Toso, Verso quale società?, LAS, Roma 2000, p. 178.
[16] Su questo tema ci soffermeremo nel punto 2.1.
[17] A tale riguardo l’autorità ha il compito di armonizzare con giustizia i diversi interessi settoriali; in ciò consiste una delle funzioni più delicate del potere pubblico: la corretta conciliazione dei beni particolari, di gruppi e di individui. Tuttavia, conciliazione non significa egualitarismo; appunto perché si tratta del “bene comune” occorre aiutare di più coloro che sono più bisognosi: «Quello comune è un bene a cui hanno diritto di partecipare tutti i membri di una Comunità politica, anche se in grado diverso a seconda dei loro compiti, meriti e condizioni. I Poteri pubblici quindi sono tenuti a promuoverlo a vantaggio di tutti senza preferenza per alcuni cittadini o per alcuni gruppi di essi (…). Però ragioni di giustizia e di equità possono talvolta esigere che i Poteri pubblici abbiano speciali riguardi per le membra più deboli del corpo sociale, trovandosi esse in condizioni di inferiorità nel far valere i loro diritti e nel perseguire i loro legittimi interessi» Giovanni XXIII, Enc. Pacem in terris, 11-IV-1963: AAS 55 (1963) 272-273.
[18] «È necessario che tutti, ciascuno secondo il posto che occupa e il ruolo che ricopre, partecipino a promuovere il bene comune. Questo dovere è inerente alla dignità della persona umana» Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1913.
[19] Giovanni Paolo II, Enc. Centesimus annus, 1-V-1991, n. 49.
[20] Difatti, il potere pubblico «interviene sempre nella sollecitudine della giustizia e della dedizione al bene comune, di cui ha la responsabilità ultima. Tuttavia non elimina così il campo d’azione e le responsabilità degli individui e dei corpi intermedi, onde questi concorrono alla realizzazione del bene comune» Paolo VI, Lett. ap. Octogesima adveniens, 14-V-1971, n. 46.
[21] C.E.I., La verità vi farà liberi, Lib. Ed. Vaticana, Città del Vaticano 1995, n. 1102.
[22] Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, n. 39.
[23] Giovanni Paolo II, Enc. Sollicitudo rei socialis, 30-XII-1987, n. 44.
[24] «Le attuali società democratiche, nelle quali lodevolmente tutti sono resi partecipi della gestione della cosa pubblica in un clima di vera libertà (Gaudium et spes, n. 31; Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1915), richiedono nuove e più ampie forme di partecipazione alla vita pubblica da parte dei cittadini, cristiani e non cristiani. In effetti, tutti possono contribuire attraverso il voto all’elezione dei legislatori e dei governanti e, anche in altri modi, alla formazione degli orientamenti politici e delle scelte legislative che a loro avviso giovano maggiormente al bene comune (Gaudium et spes, n. 75). La vita in un sistema politico democratico non potrebbe svolgersi proficuamente senza l’attivo, responsabile e generoso coinvolgimento da parte di tutti» Congr. per la Dottrina della Fede, Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica, 24-XI-2002, n. 1.
[25] San Josemaría Escrivá, È Gesù che passa, 7ª ed., Ares, Milano 2003, n. 167.
[26] Leone XIII, Enc. Immortale Dei, 1-XI-1885: “Leonis XIII Acta” 5 (1885) 146.
[27] Paolo VI, Lett. ap. Octogesima adveniens, 14-V-1971, nn. 48 e 49.
[28] Giovanni Paolo II, Es. ap. Christifideles laici, 30-XII-1988, n. 3; cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, nn. 31 e 43.
[29] Giovanni Paolo II, Es. ap. Christifideles laici, 30-XII-1988, n. 42.
[30] Parlando di bene comune ci si riferisce al bene comune politico, come spesso accade nell’insegnamento sociale cristiano. Tale bene non abbraccia, di conseguenza, tutto il bene umano, neanche quello proprio di questa vita. Deve tener conto però dell’uomo nella sua integrità, che non è soltanto materiale, ma anche e soprattutto spirituale e morale. Sulla difficoltà inerente alla nozione di “bene comune”, vedi il n. 3 della relazione del prof. A. Rodríguez Luño in questo stesso volume.
[31] Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, n. 26.
[32] Cfr. Giovanni Paolo II, Enc. Centesimus annus, 1-V-1991, n. 47.
[33] Come ricordava il beato Giovanni XXIII, «dobbiamo richiamare l’attenzione sul fatto che il bene comune ha attinenza a tutto l’uomo: tanto ai bisogni del suo corpo che alle esigenze del suo spirito» Giovanni XXIII, Enc. Pacem in terris, 11-IV-1963: AAS 55 (1963) 273.
[34] Pio XI, Enc. Quadragesimo anno, 15-V-1931: AAS 23 (1931) 222; cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 358.
[35] La convivenza umana «deve essere considerata anzitutto come un fatto spirituale: come comunicazione di conoscenze nella luce del vero; esercizio di diritti e adempimento di doveri; impulso e richiamo al bene morale; e come nobile comune godimento del bello in tutte le sue legittime espressioni; permanente disposizione ad effondere gli uni negli altri il meglio di se stessi; anelito ad una mutua e sempre più ricca assimilazione di valori spirituali: valori nei quali trovano la loro perenne vivificazione e il loro orientamento di fondo le espressioni culturali, il mondo economico, le istituzioni sociali, i movimenti e i regimi politici, gli ordinamenti giuridici e tutti gli altri elementi esteriori, in cui si articola e si esprime la convivenza nel suo evolversi incessante» Giovanni XXIII, Enc. Pacem in terris, 11-IV-1963: AAS 55 (1963) 266; cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 1886-1888.
[36] M. Toso, Umanesimo sociale, 2ª ed., LAS, Roma 2002, p. 65.
[37] Perciò il magistero della Chiesa ha insegnato che la «restaurazione sociale deve essere preceduta da un rinnovamento dello spirito cristiano (...); se no, tutti gli sforzi cadranno a vuoto, non costruendosi l’edificio su la roccia, ma su la mobile rena» Pio XI, Enc. Quadragesimo anno, 15-V-1931: AAS 23 (1931) 218.
[38] Congr. per la Dottrina della Fede, Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica, 24-XI-2002, n. 7. Poco prima, allo stesso numero, si legge: «La fede in Gesù Cristo che ha definito se stesso “la via, la verità e la vita” (Gv 14,6) chiede ai cristiani lo sforzo per inoltrarsi con maggior impegno nella costruzione di una cultura che, ispirata al Vangelo, riproponga il patrimonio di valori e contenuti della Tradizione cattolica. La necessità di presentare in termini culturali moderni il frutto dell’eredità spirituale, intellettuale e morale del cattolicesimo appare oggi carico di un’urgenza non procrastinabile, anche per evitare il rischio di una diaspora culturale dei cattolici» Ibidem.
[39] Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, n. 53.
[40] «Per questo la Chiesa sollecita i fedeli laici ad essere presenti, all’insegna del coraggio e della creatività intellettuale, nei posti privilegiati della cultura, quali sono il mondo della scuola e dell’università, gli ambienti della ricerca scientifica e tecnica, i luoghi della creazione artistica e della riflessione umanistica. Tale presenza è destinata non solo al riconoscimento e all’eventuale purificazione degli elementi della cultura esistente criticamente vagliati, ma anche alla loro elevazione mediante le originali ricchezze del Vangelo e della fede cristiana» Giovanni Paolo II, Es. ap. Christifideles laici, 30-XII-1988, n. 44.
[41] Tale impegno, che è anche una sfida senza precedenti lanciata oggi ai cristiani, consiste nell’attuare la civiltà dell’amore, «la quale compendia tutta l’eredità etico-culturale del Vangelo. Questo compito richiede una nuova riflessione su ciò che costituisce il rapporto del comandamento supremo dell’amore con l’ordine sociale considerato in tutta la sua complessità. La conclusione diretta di questa profonda riflessione è l’elaborazione e l’attuazione di audaci programmi d’azione in vista della liberazione sociale ed economica di milioni di uomini e donne» Congr. per la Dottrina della Fede, Istr. Libertatis conscientia, 22-III-1986, n. 81.
[42] A. Luciani, Catechismo sociale cristiano, 2ª ed., San Paolo, Cinisello Balsamo 2000, p. 245.
[43] V. Possenti, Oltre l’illuminismo. Il messaggio sociale cristiano, Paoline, Cinisello Balsamo 1992, p. 23.
[44] Gli interventi magisteriali a questo riguardo sono costanti. Ad esempio, Pio XII considera l’esclusione di ogni considerazione etica e religiosa dall’aspetto politico come «travisamento e traviamento fatali, pregni di conseguenze imprevedibili per la vita sociale, la quale mai non è più vicina alla perdita delle sue più nobili prerogative di quando s’illude di poter rinnegare o dimenticare impunemente l’eterna fonte della sua dignità: Dio» Pio XII, Radiomessaggio Con sempre, 24-XII-1942: AAS 35 (1943) 12.
[45] Giovanni XXIII, Enc. Pacem in terris, 11-IV-1963: AAS 55 (1963) 277-278.
[46] «La fede infatti tutto rischiara di una luce nuova, e svela le intenzioni di Dio sulla vocazione integrale dell’uomo, e perciò guida l’intelligenza verso soluzioni pienamente umane» Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, n. 11.
[47] Giovanni Paolo II, Enc. Centesimus annus, 1-V-1991, n. 5.
[48] Cfr. Pio XI, Enc. Ubi arcano, 23-XII-1922: AAS 14 (1922) 690; Pio XII, Enc. Summi Pontificatus, 20-X-1939: AAS 31 (1939) 427-428; Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, nn. 22 e 45.
[49] Cfr. Pio XII, Enc. Summi Pontificatus, 20-X-1939: AAS 31 (1939) 425.
[50] Cfr. G. E. Rusconi, Come se Dio non ci fosse. I laici, i cattolici e la democrazia, Einaudi, Torino 2000.
[51] L’unità di vita è un tema ricorrente negli insegnamenti del Fondatore dell’Opus Dei, come sintesi vitale di lavoro-orazione-apostolato: cfr. San Josemaría Escrivá, Colloqui, 5ª ed., Ares, Milano 1987, nn. 113-123; M. Belda, La nozione di «unità di vita» secondo l’Esortazione Apostolica Christifideles laici, in «Annales theologici» 3 (1989) 287-314.
[52] Giovanni Paolo II, Es. ap. Christifideles laici, 30-XII-1988, n. 59. Il Papa ricorda anche la ragione di questa unità di vita: «Il tralcio, radicato nella vite che è Cristo, porta i suoi frutti in ogni settore dell’attività e dell’esistenza. Infatti, tutti i vari campi della vita laicale rientrano nel disegno di Dio, che li vuole come il “luogo storico” del rivelarsi e del realizzarsi della carità di Gesù Cristo a gloria del Padre e a servizio dei fratelli. Ogni attività, ogni situazione, ogni impegno concreto — come, ad esempio, la competenza e la solidarietà nel lavoro, l’amore e la dedizione nella famiglia e nell’educazione dei figli, il servizio sociale e politico, la proposta della verità nell’ambito della cultura — sono occasioni provvidenziali per un “continuo esercizio della fede, della speranza e della carità” (Apostolicam actuositatem, n. 4)» Ibidem.
[53] S. Majorano, La capacità della fede di contagiare la storia, in Aa.Vv., Radicalità evangelica e impegno politico, AVE, Roma 1994, p. 28.
[54] Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, n. 43.
[55] «La Rivelazione cristiana è la vera stella di orientamento per l’uomo che avanza tra i condizionamenti della mentalità immanentistica e le strettoie di una logica tecnocratica; è l’ultima possibilità che viene offerta da Dio per ritrovare in pienezza il progetto originario di amore, iniziato con la creazione. All’uomo desideroso di conoscere il vero, se ancora è capace di guardare oltre se stesso e di innalzare lo sguardo al di là dei propri progetti, è data la possibilità di ricuperare il genuino rapporto con la sua vita, seguendo la strada della verità» Giovanni Paolo II, Enc. Fides et ratio, 14-IX-1998, n. 15.
[56] Giovanni XXIII, Enc. Mater et Magistra, 15-V-1961: AAS 53 (1961) 451.
[57] Sulla speranza e sulla sua valenza personale e sociale, vedi Giovanni Paolo II, Es. ap. Ecclesia in Europa, 28-VI-2003, passim.
[58] Giovanni XXIII, Enc. Mater et Magistra, 15-V-1961: AAS 53 (1961) 451.
[59] San Josemaría Escrivá, È Gesù che passa, 7ª ed., Ares, Milano 2003, n. 98.
[60] Paolo VI, Lett. ap. Octogesima adveniens, 14-V-1971, n. 46; cfr. Giovanni Paolo II, Es. ap. Christifideles laici, 30-XII-1988, n. 42.
[61] «È certo che i perturbamenti, così frequenti nell’ordine sociale, provengono in parte dalla tensione che sorge dalle strutture economiche, politiche e sociali. Ma più profondamente nascono dalla superbia e dall’egoismo umano, che pervertono anche l’ambiente sociale. Là dove l’ordine delle cose è turbato dalle conseguenze del peccato, l’uomo, dalla nascita incline al male, trova nuovi incitamenti al peccato, che non possono esser vinti senza grandi sforzi e senza l’aiuto della grazia» Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, n. 25; cfr. Ibid., n. 30.
[62] Frequentemente si ha l’impressione che le denunce sull’immoralità (vera o presunta) di taluni atteggiamenti politici siano più armi per squalificare gli oppositori che desiderio di un’autentica eticità in questo ambito.
[63] P. Donati, Pensiero sociale cristiano e società post-moderna, AVE, Roma 1997, p. 325.
[64] «Ciò sollecita la lotta aperta e il deciso superamento di alcune tentazioni, quali il ricorso alla slealtà e alla menzogna, lo sperpero del pubblico denaro per il tornaconto di alcuni pochi e con intenti clientelari, l’uso di mezzi equivoci o illeciti per conquistare, mantenere e aumentare ad ogni costo il potere» Giovanni Paolo II, Es. ap. Christifideles laici, 30-XII-1988, n. 42.
[65] Vedi, ad esempio, Concilio Vaticano II,Cost. past. Gaudium et spes, n. 27.
[66] «Lo Stato e la sua forma dipendono dal carattere morale dei cittadini (...). Anche nella vita degli Stati la forza e la debolezza morale degli uomini, i peccati e la grazia, hanno una parte definitiva» Pio XII, Radiomessaggio L’inesauribile mistero, 24-XII-1956: AAS 49 (1957) 12-13.
[67] J. Maritain, L’uomo e lo Stato, Vita e pensiero, Milano 1982, p. 80.
[68] Paolo VI, Enc. Populorum progressio, 26-III-1967, n. 20; questo passo cita in calce un’altra opera di Maritain.
[69] Congr. per la Dottrina della Fede, Istr. Libertatis conscientia, 22-III-1986, nn. 75 e 79.
[70] Giovanni Paolo II, Enc. Centesimus annus, 1-V-1991, n. 23.
[71] Infatti, «quando attribuisce alle creature un valore di infinità, l’uomo perde il senso del suo essere creatura. Pretende di trovare il suo centro e la sua unità in se stesso. L’amore disordinato di sé è l’altra faccia del disprezzo di Dio. L’uomo intende allora appoggiarsi unicamente su di sé, vuole realizzarsi da sé ed essere autosufficiente nella propria immanenza. (...) Divenuto centro di se stesso, l’uomo peccatore tende ad affermarsi e a soddisfare il suo desiderio di infinito, servendosi delle cose: ricchezze, poteri e piaceri, senza preoccuparsi degli altri uomini che ingiustamente spoglia e tratta come oggetti o strumenti. Così, da parte sua, egli contribuisce a creare quelle strutture di sfruttamento e di schiavitù, che peraltro pretende di denunciare» Congr. per la Dottrina della Fede, Istr. Libertatis conscientia, 22-III-1986, nn. 40 e 42.
[72] Concilio Vaticano II, Dich. Gravissimum educationis, n. 1.
[73] Non si può favorire, anzi si deve contrastare «l’attuazione di un programma politico o di una singola legge in cui i contenuti fondamentali della fede e della morale siano sovvertiti dalla presentazione di proposte alternative o contrarie a tali contenuti. Poiché la fede costituisce come un’unità inscindibile, non è logico l’isolamento di uno solo dei suoi contenuti a scapito della totalità della dottrina cattolica. L’impegno politico per un aspetto isolato della dottrina sociale della Chiesa non è sufficiente ad esaurire la responsabilità per il bene comune. Né il cattolico può pensare di delegare ad altri l’impegno che gli proviene dal vangelo di Gesù Cristo perché la verità sull’uomo e sul mondo possa essere annunciata e raggiunta» Congr. per la Dottrina della Fede, Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica, 24-XI-2002, n. 4.
[74] Cfr. Congr. per la Dottrina della Fede, Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica, 24-XI-2002, n. 2, che squalifica tale asserto.
[75] Giovanni Paolo II, Omelia 15-VI-1993, n. 5: Insegnamenti 16/1 (1993) 1546.
[76] «La comune dignità battesimale assume nel fedele laico una modalità che lo distingue, senza però separarlo, dal presbitero, dal religioso e dalla religiosa. Il Concilio Vaticano II ha indicato questa modalità nell’indole secolare: “L’indole secolare è propria e peculiare dei laici” (Lumen gentium, 31). (...) Certamente tutti i membri della Chiesa sono partecipi della sua dimensione secolare; ma lo sono in forme diverse. In particolare la partecipazione dei fedeli laici ha una sua modalità di attuazione e di funzione che, secondo il Concilio, è loro “propria e peculiare”: tale modalità viene designata con l’espressione “indole secolare”. (...) I fedeli laici, infatti, “sono da Dio chiamati a contribuire, quasi dall’interno a modo di fermento, alla santificazione del mondo mediante l’esercizio della loro funzione propria e sotto la guida dello spirito evangelico, e in questo modo a rendere visibile Cristo agli altri, principalmente con la testimonianza della loro vita e con il fulgore della fede, della speranza e della carità” (Lumen gentium, 31). Così l’essere e l’agire nel mondo sono per i fedeli laici una realtà non solo antropologica e sociologica, ma anche e specificamente teologica ed ecclesiale. Nella loro situazione intramondana, infatti, Dio manifesta il suo disegno e comunica la particolare vocazione di “cercare il Regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio” (ibid.)» Giovanni Paolo II, Es. ap. Christifideles laici, 30-XII-1988, n. 15.
[77] Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, nn. 36-38.
[78] Concilio Vaticano II,Cost. past. Gaudium et spes, n. 43.
[79] Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, n. 25.
[80] Cfr. Giovanni XXIII, Enc. Mater et Magistra, 15-V-1961: AAS 53 (1961) 455.
[81] Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, n. 76.
[82] Intendiamo qui per ideologia un sistema di pensiero non fondato sulla realtà, ma strutturato in modo da poter manipolare le persone che sono ad esso sottoposte: cfr. Concilio Vaticano II,Cost. past. Gaudium et spes, n. 8; Paolo VI, Lett. ap. Octogesima adveniens, 14-V-1971, nn. 26-28; Giovanni Paolo II, Enc. Laborem exercens, 14-IX-1981, n. 11; Id., Enc. Centesimus annus, 1-V-1991, nn. 5 e 46.